Gai-Jin (16 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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L'eccitazione crebbe. Ben presto le nubi copriranno la luna.

Scapperò allora. Scapperò!

Sonno-joi! Adesso occupiamoci di lei.

Senza far rumore richiuse le imposte lasciando uno spiraglio e tornò verso il letto.

La lunga spada, la katana, era ancora nel fodero.

La depose sul copriletto di seta bianca gualcito.

Bianco, pensò. Lenzuola bianche, carne bianca, bianco è il colore della morte.

Adatto. Perfetto per scriverci sopra.

Cosa avrebbe scritto? Il suo nome?

Con calma scostò il lenzuolo dal corpo di Angélique.

La camicia da notte era al di là della sua immaginazione, un oggetto completamente nuovo, disegnato per nascondere tutto e niente.

I fianchi e il petto erano così grandi paragonati a quelli delle poche donne con cui aveva condiviso il letto, e le gambe lunghe e diritte non avevano l'elegante curva delle giapponesi sempre sedute sulle ginocchia. Ancora una volta il suo profumo.

Mentre la esaminava si sentì risvegliare.

Con le altre era stato diverso.

Minima eccitazione, molti convenevoli e grande professionalità.

Accoppiamenti consumati in fretta e spesso tra i fumi del sakè per nascondere l'età delle donne.

Adesso c'era tutto il tempo che voleva.

Lei era giovane e lontana dal suo mondo.

L'eccitazione aumentò, divenne quasi dolorosa.

Il vento faceva scricchiolare le imposte ma da li non poteva venire alcun pericolo, né dalla casa.

Tutto era tranquillo. Angélique era sdraiata su un fianco.

Un'abile e delicata spintarella, un'altra, e ubbidiente lei fu supina, il capo reclinato comodamente, i capelli come una cascata.

Un sospiro profondo nell'abbraccio del materasso.

Una piccola croce d'oro al collo.

Ori si chinò e appoggiò la punta del pugnale affilato sotto il pizzo delicato dello scollo, lo sollevò leggermente e premette tutta la lunghezza della lama contro il tessuto teso.

La stoffa si lacerò ricadendo sui lati.

Ori non aveva mai visto una donna così svelata.

Né così abbandonata.

Mai si era sentito tanto eccitato.

La piccola croce brillò.

Nel sonno Angélique mosse una mano e se l'appoggiò tra le gambe con un gesto tranquillo.

Ori le spostò la mano, poi le sollevò una caviglia per divaricarle le gambe. Con delicatezza.

Capitolo 6


 

Angélique si svegliò poco prima dell'alba.

Ma non del tutto.

Era ancora sotto l'effetto della droga, sotto l'effetto dei sogni, di strani sogni violenti, erotici e dolorosi, sensuali e spaventosi, mai vissuti prima con tanta intensità.

Il cielo rosso a oriente occhieggiava dalle imposte, e le nuvole avevano forme suggestive e inquietanti che sembravano intonarsi al suo stato d'animo.

Si sporse per vederle meglio e sentì un leggero dolore ai lombi.

Non vi prestò attenzione e lasciò vagare invece lo sguardo sui disegni nel cielo permettendo alla mente di scivolare ancora in quei sogni irresistibili.

Nel dormiveglia si rese conto d'essere nuda.

Si strinse la camicia da notte intorno al corpo con un gesto languido e si coprì col lenzuolo.

Si addormentò.

Ori, appena uscito dalle coltri calde, era in piedi accanto al letto.

I suoi abiti da ninja giacevano sul pavimento insieme al perizoma. Guardò Angélique per l'ultima volta.

Che tristezza, pensò, gli addii sono così tristi.

Poi prese il pugnale dal pavimento.

 

Al pianterreno Phillip Tyrer aprì gli occhi in un ambiente poco familiare e gli ci volle qualche momento per rendersi conto che si trovava nel tempio di Kanagawa, che il giorno prima era stato terribile, l'operazione orrenda e il ruolo da lui svolto decisamente deprecabile.

“Babcott ha detto che ero in stato di shock” mormorò tra sé con la bocca arida.

“Basterà questo a scusarmi?” Il vento muoveva le imposte accostate della finestra. Poteva vedere la luce dell'alba.

“Rosso di mattina...” ci sarà un temporale? si chiese, poi sedette sulla branda da campo e controllò la fasciatura al braccio.

Era pulita: nessuna macchia di sangue fresco.

Provò un grande sollievo.

A parte il mal di testa e qualche graffio superficiale si sentiva di nuovo tutt'intero. “Oddio, come vorrei essermi comportato meglio.”

Fece uno sforzo per ricordare la fase post operatoria ma i ricordi erano confusi.

So di aver pianto, ma non mi sembrava nemmeno di piangere, le lacrime scorrevano da sole.

Con un grande sforzo respinse quei pensieri tetri.

Scese dal letto e spalancò le finestre con la piacevole sensazione d'essere ben saldo sulle gambe e piuttosto affamato.

Si spruzzò sul viso dell'acqua contenuta in una brocca accanto alla finestra e dopo essersi sciacquato la bocca sputò sulle foglie del giardino. Si sentiva un pò meglio.

Il giardino era deserto e nell'aria aleggiava l'odore della vegetazione marcescente e della bassa marea.

Dal punto in cui si trovava riusciva a vedere una parte delle mura del tempio e poco più.

Attraverso una piccola radura tra gli alberi intravvide un angolo del capanno delle sentinelle.

A quel punto notò di essere stato messo a dormire con la camicia e i mutandoni di lana.

Il soprabito lacero e macchiato di sangue era stato gettato insieme ai pantaloni su una sedia e gli stivali inzaccherati di fango erano poco lontani.

Poco male per il vestito rovinato, si disse, sono fortunato a essere vivo.

Cominciò a vestirsi. E Struan? E Babcott...

Presto dovrò affrontarlo.

Non poteva radersi perchè nessuno aveva pensato di lasciare un rasoio, non c'era nemmeno un pettine.

Poco male anche per questo. Si infilò gli stivali.

Sentiva gli uccellini cantare in giardino, qualcuno che si muoveva, alcune grida lontane, forse in giapponese, e cani che abbaiavano.

Ma nessun suono di città normale, di città inglese.

Nessun grido mattutino come “caldi appena sfornati...” o “fresche di giornata...”, “ostriche di Colchester pescate stamattina buon prezzo alla dozzina”

“l'ultimo capitolo dell'ultimissimo romanzo del signor Dickens, un penny, soltanto un penny” oppure ancora “il “Times”, il “Times”, tutto sullo scandalo Disraeli, leggete i particolari...”

Verrò licenziato? L'ipotesi di dover tornare a casa coperto d'ignominia, a raccontare della magra figura, del fallimento, d'essere licenziato ed espulso per sempre dall'illustre Foreign Office di Sua Maestà britannica, rappresentante del più grande Impero mai visto sulla terra.

Che cosa penserà di me Sir William? E' lei che cosa penserà? Angélique? Grazie a Dio è in salvo a Yokohama... mi rivolgerà ancora la parola quando saprà?

Oddio, che cosa devo fare?

 

Anche Malcolm Struan era sveglio.

Alcuni momenti prima aveva reagito a una sensazione di pericolo, un rumore dall'esterno che l'aveva svegliato.

Gli sembrava di essere sveglio da ore.

Giacque immobile sul lettino da campo, consapevole della giornata e dell'intervento e di essere stato gravemente ferito e di avere molte possibilità di morire.

Ogni respiro gli procurava un dolore acuto e violento. Anche il minimo gesto lo faceva soffrire.

Ma non penserò al dolore, penserò soltanto ad Angélique e al fatto che mi ama e... e quei brutti sogni?

I sogni in cui lei mi odiava e scappava lontano? Odio sognare e perdere il controllo della situazione, odio quest'immobilità. Io sono sempre stato forte, e cresciuto all'ombra del mio eroe, il grande Dirk Struan, demone con gli Occhiverdi. Oh, quanto mi piacerebbe avere gli occhi verdi ed essere forte come lui. E' il mio modello e io sarà bravo come lui, lo prometto.

Tyler Brock ci sta alle costole come al solito.

E' il nostro peggior nemico.

Papà e mamma cercano di tenermi all'oscuro di tutto ma ovviamente ho sentito delle voci e sono al corrente di più cose di quanto non credano.

La vecchia Ah Tok, che mi è stata più madre di mia madre non mi ha forse accudito fin da quando avevo due anni insegnandomi il cantonese e a muovere i miei primi passi nella vita e procurandomi persino la mia prima ragazza?, mi riporta tutti i pettegolezzi mentre lo zio Gordon Chen si preoccupa di mettermi al corrente dei fatti.

La Nobil Casa vacilla.

Non importa, affronteremo i Brock, li affronterò.

E' questo ciò per cui sono stato educato e per cui ho lavorato tutta la vita. Scostò la coperta e cercò di alzarsi ma un dolore insopportabile lo fermò. Provò un'altra volta, niente.

Non importa, si disse debolmente.

Non c'è niente di cui preoccuparsi, mi alzerò più tardi.

 

“Ancora uova, Settry?” chiese Marlowe.

Alto quanto l'ufficiale dei dragoni, il tenente era tuttavia più snello ed elegante d'aspetto.

Erano due giovani aristocratici, figli di alti ufficiali ancora in servizio, ed entrambi avevano già il volto segnato dalla vita, soprattutto Marlowe.

“No, grazie” rispose Settry Pallidar.

“Due è il mio massimo. Devo confessare che la cucina mi sembra infame. Ho detto ai miei domestici che mi piacciono le uova ben cotte e non mollicce, ma quelli hanno la sabbia nel cervello. In effetti che io sia dannato se riesco a mangiare le uova quando non sono su una fetta di buon pane inglese tostato. Non hanno lo stesso sapore. Che cosa credi che succederà per Canterbury?”

Marlowe esitò. Erano nella sala da pranzo della Legazione, seduti al grande tavolo di quercia che poteva accogliere fino a venti persone fatto venire appositamente dall'Inghilterra.

La camera d'angolo era spaziosa e piacevole con le finestre affacciate sul giardino e sull'alba.

Tre domestici cinesi in livrea servivano la colazione ai due ufficiali. La tavola era stata apparecchiata per una mezza dozzina di persone con uova fritte e pancetta tenute in caldo su vassoi d'argento, pollo arrosto, prosciutto freddo e sformato di funghi, una portata di manzo quasi rancido, delle gallette e una torta di mele rinsecchita.

Birra chiara e scura e tè.

“Il ministro dovrebbe chiedere una riparazione immediata e farsi consegnare gli assassini, e se i giapponesi tardano a eseguire gli ordini dovrebbe lanciare la flotta contro Edo.”

“Meglio attaccare in forze da terra abbiamo truppe a sufficienza e occupare la capitale, deporre il loro re... Come si chiama? Ah si, shògun, e nominare un sovrano indigeno di nostra fiducia e trasformare il Giappone in un protettorato.

Meglio ancora sarebbe per loro se il paese diventasse parte dell'impero.” Pallidar era molto stanco perchè era stato sveglio quasi tutta la notte. Aveva l'uniforme in disordine ma si era ripulito e sbarbato.

Chiamò un cameriere.

“Del tè, per favore.”

Il giovane cinese vestito di tutto punto aveva capito perfettamente, tuttavia lo guardò con aria sbigottita per il solo piacere di far divertire i compagni.

“Heya padrone? Tè-ah?

Volere tè-ah? Cha? Tècha heya?”

“Oh non fa niente, per l'amor di Dio!”

Esausto, Pallidar si alzò e andò a versarsi il tè mentre tutti i servi se la ridevano in segreto per la figuraccia dell'insolente demone straniero.

Poi tornarono ad ascoltare con attenzione tutto quello che si dicevano i due inglesi.

“E una questione di potenza militare, vecchio mio, e francamente ti dico che il generale sarà molto dispiaciuto d'aver perso un granatiere per colpa di un assassino sifilitico vestito come Ali Babà. Vorrà vendetta, come tutti noi del resto, per Dio.”

“Non so se uno sbarco sarebbe auspicabile... La marina può sicuramente aprirvi la strada, ma non abbiamo idea di quanti siano i samurai a Edo e non sappiamo nemmeno di quali e quante armi dispongano.”

“Per carità, qualsiasi cosa siano o quanti siano potremo pur sempre affrontarli e batterli, in fondo sono soltanto un mucchio di selvaggi.

Non c'è dubbio. Come è successo in Cina. A proposito... non capisco perchè non annettiamo la Cina e la facciamo finita anche con loro.”

I servitori, che non avevano perso una sillaba di quello scambio d'opinioni, giurarono che il giorno in cui il Regno Celeste avesse posseduto fucili e navi per affrontare i barbari avrebbero fatto mangiar la polvere a quei nasoni impartendogli una lezione che non sarebbe stata dimenticata per almeno mille generazioni.

Tutti i domestici erano stati scelti personalmente dall'illustre Chen, Gordon Chen della Nobil Casa, il compratore

“Volere un pezzetto di uovo buono, signore?” chiese il più coraggioso dei tre con un sorriso tutto denti.

E spinse sotto il naso di Pallidar alcune uova con l'albume semicrudo. “Molto buono buonissimo.” Pallidar allontanò il vassoio con disgusto. “No grazie. Senti, Marlowe, pensavo...” s'interruppe quando la porta s'aprì per lasciar entrare Tyrer.

“Oh, buongiorno, voi dovete essere Phillip Tyrer della Legazione.”

Si presentò, presentò Marlowe e continuò vivace: “Sono molto dispiaciuto per la brutta avventura di ieri ma sono anche orgoglioso di stringervi la mano. Il signor Struan e la signorina Richaud hanno raccontato a Babcott che se non fosse stato per voi sarebbero morti entrambi”.

“Hanno detto questo? Oh!” Tyrer stentava a credere alle proprie orecchie.

“E' successo così, così in fretta. Tutto andava bene e un minuto dopo stavamo correndo per salvarci la vita. Ero spaventato a morte.”

Ora che l'aveva detto si sentiva meglio.

Si sentì ancora meglio quando i due liquidarono la sua frase come segno di grande modestia e invitandolo a prendere posto a tavola ordinarono ai servi di portargli del cibo.

Marlowe disse: “Questa notte, quando sono venuto a ispezionare da voi dormivate profondamente.

Babcott deve avervi dato un sedativo.

Immagino che non abbiate ancora sentito parlare del nostro assassino”.

A Tyrer si torse lo stomaco: “Assassino?”.

Lo misero al corrente dei particolari e gli raccontarono anche di Angélique.

“Angélique è qui?”

“Sì, ed è una signorina coraggiosa.”

Marlowe si soffermò a pensare alla ragazza.

Non aveva una vera innamorata a casa né altrove, soltanto qualche cugina e per la prima volta si sentì felice d'essere uno scapolo libero. Poteva darsi che Angélique si fermasse e poi... poi avrebbero visto.

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