Gai-Jin (25 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Ma te ne prego, caro zio.”

“Ho soltanto un'altra idea e abbastanza franchi per pagarti un modesto passaggio in nave fino a Hong Kong.

E per comperarti qualche vestito, ma nient'altro.”

Allora si era occupata degli abiti che dovevano essere perfetti, delle prove interminabili e... si, anche la gonna di seta, lo zio Michel non brontolerà; poi l'eccitazione del primo viaggio in treno fino a Marsiglia, con un vapore ad Alessandria d'Egitto e a Porto Said passando accanto ai primi scavi per il canale di Suez di Monsieur de Lesseps che secondo i più non sarebbe mai stato finito o, qualora ciò fosse avvenuto, avrebbe ottenuto l'effetto di svuotare gran parte del Mediterraneo, che era notoriamente più basso degli altri mari.

E le sue implorazioni e i suoi sorrisi le fecero ottenere ciò che voleva, viaggiare sempre in prima classe: “La differenza è così piccola, caro caro zio Michel ......

Venti lievi e volti nuovi, notti esotiche e splendide giornate, l'inizio di una grande avventura, alla fine dell'arcobaleno un marito bello e ricco come Malcolm. E adesso tutto era stato rovinato da uno schifoso giapponese!

Perché non riesco a pensare alle cose positive?, si domandò in preda a un'angoscia improvvisa.

Perché i pensieri buoni diventano cattivi e poi orrendi e poi comincio a pensare a quello che è successo e a piangere?

Non farlo, si ordinò, respingendo le lacrime. Comportati bene. Sii forte!

L'hai deciso prima di uscire dalla stanza: non è successo niente e quindi ti comporterai come se niente fosse fino alle prossime mestruazioni.

Quando arriveranno, e arriveranno, sarai salva.

E se... se non arrivassero?

Non devi pensarci.

Il tuo futuro non verrà distrutto, non sarebbe giusto.

Pregherai e resterai vicino a Malcolm e pregherai anche per lui e farai come Florence Nightingale e più avanti magari lo sposerai.

Gli gettò un'occhiata senza allontanare il fazzoletto dal naso. Sorpresa, notò che Malcolm la stava osservando.

“L'odore è ancora così tremendo?” le chiese con tristezza.

“No, chèri” rispose lei lieta che le bugie suonassero ogni volta più spontanee e sincere.

“Un pò di zuppa, vuoi?”

Malcolm annuì debolmente; sapeva di doversi nutrire ma sapeva anche che qualsiasi cosa avesse ingerito sarebbe stata puntualmente espulsa.

Il suo corpo si liberava di ogni alimento introdotto nello stomaco, con spasmi che laceravano i punti di sutura, e il dolore che ne seguiva lo lasciava prostrato.

“Dew neh loh moh” mormorò. L'imprecazione era in cantonese, la prima lingua che aveva imparato nell'infanzia.

Angélique gli sorresse la tazza sotto il mento e asciugò le gocce che cadevano mentre lui sorbiva la minestra a piccoli sorsi. Avrebbe voluto ordinarle di andarsene mentre era ancora in sé, ma al tempo stesso era terrorizzato all'idea che se ne andasse per non tornare più. “Mi dispiace per tutto questo... però sono felice che tu sia qui.”

Per tutta risposta lei gli sfiorò gentilmente la fronte. Aveva un solo desiderio: andarsene da quella stanza in cerca di aria fresca e solitudine, per poter pensare. Non si fidava di parlare.

Meno cose dici e meglio è, aveva deciso, così non potranno metterti in trappola.

Accudì Malcolm distrattamente e lasciò vagare i pensieri sulla vita a Hong Kong o Parigi, soprattutto Parigi.

Non avrebbe più dovuto lasciarsi andare a quei sogni a occhi aperti. Mai più, soprattutto di giorno, era troppo pericoloso. Solo di notte, quand'era a letto al sicuro e con la porta chiusa, poteva abbandonarsi e permettere alla sua mente di viaggiare dove più desiderava.

Un colpo alla porta. “Sì?” Babcott entrò. Angélique arrossì sotto il suo sguardo: perchè penso sempre che possa leggere i miei pensieri? si chiese.

“Volevo soltanto vedere come stanno i miei pazienti” esordì il medico in tono gioviale. “Bene, bene, signor Struan, come vi sentite?”

“Come al solito, grazie.”

Gli occhi allenati del dottor Babcott notarono che mezza minestra era stata mangiata e che non c'era ancora vomito da pulire.

Prese il polso di Struan.

Il battito era irregolare ma più forte. La fronte ancora madida di sudore per la febbre ma un pò meno del giorno prima. Posso sperare che guarisca? Disse di trovarlo molto migliorato, probabilmente grazie alle cure della signorina, che lui non c'entrava niente, ripeté insomma il solito repertorio di incoraggiamento. C'era poco da dire in verità, quasi tutto era nelle mani di Dio, se Dio esiste. Perché devo sempre concludere con un se?

“Se continuerete a migliorare penso che potremmo riportarvi a Yokohama.

Magari domani stesso.”

“Ma non è prudente” ribatté Angélique sgomenta all'idea di perdere il suo rifugio.

“Invece sì” rispose Babcott in tono gentile. Ammirava la forza di quella ragazza, il suo attaccamento al giovane Struan e avrebbe voluto tranquillizzarla.

“Non lo consiglierei se fosse rischioso, ma credo anzi che il trasferimento sia indispensabile per il signor Struan che a Yokohama potrebbe ricevere maggior aiuto e stare più comodo.”

Mon Dieu, cos'altro posso fare? Non deve partire, non ancora, non ancora.

“Ascolta cara” disse Struan cercando di sembrare forte, “se Babcott pensa che io debba essere trasferito, sarà proprio la cosa giusta da farsi.

Restituirebbe a te la libertà e renderebbe tutto più facile.”

“Ma io non voglio la mia libertà, voglio stare qui proprio come adesso senza... senza creare problemi.”

Il suo cuore batteva all'impazzata; si rendeva conto di sembrare isterica ma quel trasferimento l'aveva colta alla sprovvista. Stupida, sei proprio una stupida.

E' ovvio che prima o poi un trasferimento ci sarebbe stato. Pensaci! Che cosa puoi fare per impedirlo?

Ma non c'era alcun bisogno di impedirlo. Struan le stava dicendo che non si doveva preoccupare, che all'Insediamento lei sarebbe stata al sicuro e lui più felice, che c'erano dozzine di servi e comodi appartamenti nel palazzo Struan, e se lei lo desiderava avrebbe potuto abitare accanto a lui con la possibilità di andare e venire a suo piacimento a ogni ora del giorno e della notte.

“Ti prego di non preoccuparti, voglio che anche tu sia contenta” la rassicurò.

“Sarai più comoda, lo prometto, e quando starò meglio, io...”

Uno spasmo lo contrasse provocandogli i temuti conati di vomito.

Babcott lo ripulì e gli somministrò un altro calmante.

“Sarebbe davvero più comodo per lui” spiegò ad Angélique quand'ebbe finito con Malcolm.

“Là posso disporre di un aiuto più qualificato, di una migliore attrezzatura, qui ad esempio è praticamente impossibile tenere sterilizzati gli strumenti.

Struan ha bisogno... Mi dispiace dirlo in questo modo ma ha bisogno di un aiuto più efficace. Voi state facendo per lui più di quanto possiate immaginare ma vi sono funzioni che i suoi servi cinesi possono svolgere meglio. Mi dispiace essere così esplicito.”

“Non dovete scusarvi, dottore. Avete ragione e comprendo la necessità di partire subito.”

La sua mente stava correndo all'impazzata. La suite accanto a quella di Malcolm sarebbe stata l'ideale, e ci sarebbero stati domestici in abbondanza e abiti puliti.

Troverò una sarta e mi farò confezionare magnifici vestiti e sarò servita e riverita... e controllerò lui e il futuro. “Voglio soltanto la cosa migliore per Malcolm” disse.

“Per quanto tempo sarà in queste condizioni?” chiese per sapersi regolare.

“Confinato a letto e incapace di badare a se stesso?”

“Si, vi prego di dirmi la verità. Ve ne prego.”

“Non lo so. Almeno due o tre settimane, forse di più, e per un altro mese o due non avrà molta mobilità.”

Gettò un'occhiata veloce al giovane assopito.

“Preferirei che non gli diceste niente. Si preoccuperebbe senza motivo.” Adesso che tutto le sembrava andare a posto Angélique annuì contenta e rilassata.

“Non temete, non dirò nemmeno una parola. Pregherò che si riprenda presto e prometto di dare tutto l'aiuto che posso.”

Allontanandosi, il dottor Babcott continuò a pensare: Mio Dio, che donna stupenda! Che viva o muoia, Struan per il momento è molto fortunato a essere amato così.

Capitolo 9


 

I ventun colpi di cannone che ciascuna delle sei navi ancorate al largo di Edo aveva sparato in segno di saluto echeggiarono senza sosta.

Gli uomini di tutti gli equipaggi si sentivano eccitati e al contempo fieri della loro forza e del fatto che fosse finalmente giunto il momento della resa dei conti.

“Avranno quello che si meritano, sir William,” esultò Phillip Tyrer inebriato dall'odore di cordite.

La città davanti alla baia era estesa e dominata da un imponente castello. Sembrava deserta.

“Staremo a vedere.”

Sul ponte dell'ammiraglia, Ketterer si rivolse al generale: “Questo dovrebbe convincervi che il nostro Willie è soltanto un damerino con delle manie di grandezza. Al diavolo il saluto reale, faremmo meglio a guardarci le spalle”.

“Avete ragione, per Giove! Sì. Lo aggiungerò al rapporto che invio mensilmente al Gabinetto di Guerra.”

Sul ponte dell'ammiraglia francese, Henry Seratard fumava la pipa ridacchiando con il ministro russo.

“Mon Dieu, mio caro conte, questo è un giorno felice. L'onore della Francia verrà vendicato dall'arroganza inglese; sir William è votato al fallimento. La perfida Albione si rivela più perfida che mai.”

“Sì. E' disgustoso che sia la loro flotta a guidare l'attacco.”

“Ben presto le nostre due flotte insieme avranno il sopravvento.”

“Sì. Dunque siamo d'accordo? Quando gli inglesi se ne andranno prendiamo l'isola settentrionale più Sakhalin, le Kurili e tutte le isole fino all'Alaska russa... Il resto alla Francia.”

“D'accordo. E appena il mio promemoria arriverà a Parigi l'accordo diventerà ufficiale pur restando, beninteso, segreto.”

Sorrise.

“Quando si crea un vuoto è nostro dovere diplomatico riempirlo...”

A Edo insieme alle cannonate era arrivata la paura.

Gli scettici rimasti si unirono alle masse che affollavano strade, ponti e vicoli fuggendo con i pochi averi che riuscivano a trasportare.

Essendo vietato l'uso di veicoli a ruote tutti si affrettavano a piedi terrorizzati all'idea che le palle fiammeggianti e i razzi di cui avevano sentito parlare potessero da un momento all'altro far cadere una pioggia di fuoco che avrebbe bruciato la città trasformandola in cenere insieme a loro.

“Morte ai gai-jin” era l'imprecazione che correva di bocca in bocca.

“Presto... via di li... presto!” gridavano in preda al panico.

Qualcuno venne addirittura calpestato o fatto precipitare da un ponte o ricacciato dentro una casa, ma la maggior parte fuggi senza meta ma con la ferma determinazione di allontanarsi quanto più possibile dal mare.

“Morte ai gai-jin!”

L'esodo era cominciato al mattino quando la flotta era stata avvistata nel porto di Yokohama.

Tre giorni prima, quand'erano giunte in città voci sullo sfortunato incidente e sulla reazione degli stranieri, i mercanti più prudenti avevano assoldato in gran segreto i portatori più robusti e si erano messi in salvo insieme alle famiglie e ai loro beni.

Soltanto i samurai del castello e quelli incaricati della difesa esterna e delle roccaforti erano al loro posto. E come sempre succede in questi casi, gli sciacalli s'aggiravano cauti tra le case abbandonate cercando qualcosa da rubare e rivendere.

In Giappone il saccheggio era considerato un crimine particolarmente grave, e i colpevoli venivano perseguitati fino alla cattura e alla crocifissione.

Con uguale severità era punita qualsiasi forma di furto.

Entro le mura del castello lo shògun Nobusada e la principessa Yazu si erano fatti piccoli piccoli dietro un fragile paravento e stavano rannicchiati uno tra le braccia dell'altra mentre le loro guardie, i camerieri personali e la corte si tenevano pronti a una partenza immediata e aspettavano solo il permesso del Guardiano.

In tutto il castello gli uomini si preparavano alla difesa o bardavano i cavalli e impacchettavano i beni più preziosi degli Anziani in vista dell'eventuale evacuazione che avrebbe avuto inizio se fosse cominciato il cannoneggiamento o se al Consiglio fosse stata comunicata la notizia dello sbarco delle truppe nemiche.

Nella carriera del Consiglio dove gli Anziani si erano riuniti in gran fretta parlava Yoshi.

“Lo ripeto: non credo che ci attaccheranno in forza né che ci...”

“E io non vedo perchè aspettare. Andarsene è prudente, cominceranno a bombardarci da un momento all'altro” disse Anjo. “Questi primi colpi sono stati un avvertimento.”

“Non credo, penso che fosse soltanto una maniera arrogante di annunciare il loro arrivo.

Non hanno colpito nessun obiettivo. La flotta non ci bombarderà e l'incontro di domani avrà luogo, come previsto.

All'incontro ...”

“Come fai a essere così cieco? Se le nostre posizioni fossero capovolte e tu comandassi quell'invincibile flotta, esiteresti forse un solo istante ad annientarci?”

Anjo ribolliva di rabbia. “Dimmi, esiteresti?”

“No, certo che no! Ma loro non sono al nostro posto e noi non ci troviamo al loro, ed è per questo e soltanto per questo che riusciremo a tenerli in pugno.”

“Tu non vuoi capire!”

Esasperato Anjo si rivolse agli altri tre membri del Consiglio.

“Lo shògun deve essere portato al sicuro e noi stessi dobbiamo metterci in salvo per poter continuare a governare. Non propongo altro che di assentarci temporaneamente. Con la sola eccezione delle nostre guardie personali tutti i samurai resteranno, resterà la Bakufu.”

Guardò un'altra volta Yoshi con occhi di fuoco.

“Resta pure con loro, se vuoi. Adesso votiamo per l'approvazione di un'assenza temporanea!”

“Aspetta! Se fai una cosa simile lo shògunato perderà la faccia per sempre e non potremo più esercitare alcun controllo sui daimyo e l'opposizione... né sulla Bakufu. Mai più!”

“Stiamo solo cercando di essere prudenti! La Bakufu non parte. Lo stesso fanno i guerrieri. Come capo del Consiglio ho il diritto di chiedere una votazione e dunque votiamo! Io voto Sì!”

“Io dico No!” ribatté Yoshi.

“Io sono d'accordo con Yoshi-san” disse Utani.

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