Gai-Jin (100 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Sì, signore. Ho tentato di convincerli a lasciarlo perdere ma mi hanno detto di togliermi dalle scatole. Non è stato Nakama a cominciare, sir William, l'ho visto io stesso in High Street, ne sono certo.”

“Bene” commentò sir William seccamente. “Per fortuna la nostra legge è uguale per i ricchi e per i poveri, e anche per tutti quelli sotto la nostra giurisdizione. Se quell'uomo verrà linciato, linceremo i linciatori.

Sono stanco della Città Ubriaca e di quella stupida marmaglia. In attesa che Londra ci invii il Corpo di polizia promesso, ne formeremo uno nostro.

Lo comanderò io. Jamie, vi nomino vice capo di polizia in carica temporanea, e Norbert assumerà la stessa carica, sempre temporanea.”

“Neanche per sogno, sir...”

“Allora lo farà solo Norbert” ribatté sornione sir William.

“Dannazione, va bene” rispose Jamie con grande riluttanza sapendo quanto sarebbe stato ingrato il compito che l'attendeva. “Norbert, eh?

Avete sentito di Norbert e del tai-pan?”

“Cos'hanno fatto?” Jamie raccontò del litigio e della sfida. “Si scommette cinque a uno che una di queste sere si scontreranno a duello e uno dei due ci lascerà le penne.

“ Sir William alzò gli occhi al cielo disgustato. “Sto via tre giorni e va subito tutto in malora.” Si fermò a pensare un secondo. “Phillip, voglio entrambi nel mio ufficio domattina presto.” Poi cambiò tono, e la sua voce espresse un furore che li fece rabbrividire: “E intimate a entrambi di dimostrarsi saggi, docili, attenti e disposti a seguire il mio buon consiglio. Timoniere! Forzate quei fottuti motori, per Dio!”.

“Sì, signore ...”

“Phillip, avete preso la mia cartella?”

“Sì, signore.” Tyrer ringraziò il cielo di essersene ricordato.

 

Attraverso le assi della porta barricata del negozio dello shoya Hiraga scrutava la folla di uomini urlanti, armati di pistole e moschetti, che sbraitava all'esterno.

Il sudore gli colava sul viso. Sebbene non lo desse a vedere, ribolliva di rabbia e provava anche una certa paura. Quando si era precipitato nella casa dello shoya a prendere le spade si era tolto la finanziera, e adesso la sua camicia era macchiata dal sangue che fuoriusciva da una piccola ferita alla schiena. Lo shoya era accanto a lui, molto nervoso, armato di un arpione da pesca, perchè solo ai samurai era concesso di portare armi, e i trasgressori venivano puniti con la morte.

Era rimasto intrappolato con loro anche un vecchio ashigaru, un fante, che ora guardava Hiraga ammirato e confuso insieme. Lo ammirava per la sua abilità con la spada e per il fatto evidente che fosse uno shishi, ed era confuso perchè indossava abiti gai-jin e portava i capelli come i gai-jin. Sembrava vivere con loro nell'Insediamento eppure era oggetto di quell'aggressione ingiustificata.

Maledetti gai-jin, pensò, come se un futile tentativo di scasso da parte di un baka ronin avesse qualche importanza, quell'uomo non poteva che essere un ladro ronin, non mirava sicuramente alla ragazza, quale civilizzato vorrebbe mai una di loro? Quel pazzo è stato giustamente ucciso per la sua impertinenza e non ci sono stati feriti, perchè tutta questa violenza? Baka gai-jin! “Si può uscire dal retro?” chiese.

Lo shoya scosse il capo, livido in volto.

Era la prima volta che affrontava un problema così grave, con tutti quei gai-jin infuriati là fuori.

Inoltre era coinvolto direttamente, visto che stava offrendo rifugio allo shishi. Anche il pazzo ronin era stato in casa sua, e lui non li aveva denunciati come avrebbe dovuto. L'ordine però era chiaro: denunciare la presenza di qualsiasi estraneo.

“Ci sarà un'investigazione della Bakufu” aveva piagnucolato sua moglie un'ora prima, “verremo sicuramente chiamati a testimoniare. I loro soldati sono ancora qui. Perderemo tutto, anche la testa, Namu Amida Butsu!” Lei e la loro figlia maggiore stavano facendo la spesa al mercato quando i primi assalitori erano arrivati urlando nel villaggio e si erano messi a rovesciare i banchi e a spingere e insultare i venditori costringendoli a scappare in preda al panico.

“Molto spiacente, signore” balbettò lo shoya, “siamo circondati, i gai-jin sono anche nel vicolo posteriore.

“ Oltre alla dozzina di forsennati che li stavano assediando, ai due lati della Terra di Nessuno si era radunata quasi tutta la popolazione dell'Insediamento e molti di quelli che in un primo momento si erano recati li solo per curiosare si erano poi lasciati contagiare dall'ira dei facinorosi che gridavano vendetta.

Dietro ai gai-jin che occupavano la strada del villaggio si erano appostati venti samurai di stanza alla porta Nord, e sull'altro lato c'erano i samurai della porta Sud. Nessuno di loro impugnava la spada, ma tenevano tutti la mano sull'elsa e i loro ufficiali sembravano pronti a ordinare l'attacco. Lo stesso valeva per le truppe che li fronteggiavano, con i fucili carichi, e per la dozzina di cavalieri in sella.

Tutti baldanzosi, attendevano solo un cenno dal generale, con una gran voglia di buttarsi nella mischia.

Per l'ennesima volta il più anziano degli ufficiali giapponesi, soverchiando il clamore, intimò ai gai-jin di disperdersi e nuovamente il generale, accompagnato da un boato di approvazione, gridò ai samurai di sciogliere le fila. Nessuna delle due parti dimostrò di capire o di voler capire l'altra.

Nel frastuono di ordini e contrordini, Hiraga riusciva a sentire appena la voce del generale. E' un idiota, pensò furibondo, ma mai idiota quanto Ori. E' un bene che sia morto, un gran bene! Con tutto quello che ha fatto non ha ottenuto altro che guai, imbecille! Avrei dovuto ammazzarlo appena gli ho visto la croce addosso, o nel cunicolo.

Quando le grida di Angélique avevano rotto la quiete della notte, subito seguite dai colpi di fucile, lui e Akimoto si trovavano nel vicolo vicino alla Struan, appostati ad aspettare Ori.

Non si erano accorti che Angélique si era trasferita alla Legazione francese e dunque supponevano che Ori fosse nascosto nei paraggi, magari persino nel palazzo Struan.

Nella confusione che era seguita, camuffati dagli abiti da lavoro e dai berretti, si erano mescolati al gruppo di persone semi svestite che correvano verso la Legazione. Avevano assistito sgomenti all'arrivo dei medici e dopo poco avevano visto il corpo inerte di Ori trascinato alla luce. Allora Hiraga aveva fatto un cenno ad Akimoto e insieme si erano eclissati nella notte, spaventati.

Non appena giunti nel loro rifugio nel villaggio, Hiraga era esploso: “Che Ori rinasca uno sporco gai-jin e non un samurai! Adesso ha sollevato un vespaio.

Scappa subito nello Yoshiwara e nasconditi nella galleria finché non ti faccio sapere qualcosa o vengo io stesso a prenderti”.

“E tu, cosa farai?”

“Io sono dei loro” rispose con un mezzo sorriso. “Taira è il mio protettore, e anche il capo dei gai-jin mi protegge, lo sanno tutti, non mi succederà niente.” Mi sbagliavo, pensò amareggiato mentre fuori l'atmosfera si faceva sempre più tesa.

Due ore prima, appena la Pearl era apparsa all'orizzonte, aveva lasciato il villaggio e camminava tranquillo lungo High Street verso la Legazione britannica ripassando nella mente la lunga lista di frasi che Tyrer gli aveva chiesto di tradurre mentre era via. Assorto nei suoi pensieri e ansioso di ricevere di prima mano le notizie sull'incontro di Edo, fu richiamato alla realtà da un nugolo di gai-jin furiosi.

“E' il giapponese di Tyrer...”

“Ma è un samurai... “

“ Ehi tu, scimmia, tu samurai, sì...”

“Guardate come assomiglia a quell'altro...

“Cristo, è vero... ha gli stessi capelli...”

“Ti insegneremo noi a non toccare le nostre donne...” Uno di loro lo colpì improvvisamente alla schiena gettandolo a terra.

Mentre il suo cilindro rotolava nella polvere e veniva calpestato in un fragore di risate, gli altri cominciarono a prenderlo a calci intralciandosi a vicenda nella grande foga. Approfittando di un attimo di tregua creato dalla confusione nonché della propria superiorità fisica, Hiraga riuscì a balzare in piedi e a rompere l'accerchiamento. Si diede alla fuga inseguito dagli assalitori.

Percorse il vicolo che dal palazzo Struan conduceva al villaggio mentre già le guardie samurai allertate confluivano dalle due porte. L'accesso al rifugio dove teneva nascosta la pistola era bloccato, così sgattaiolò nel negozio dello shoya, afferrò due spade malandate e andò all'attacco.

Colse gli assalitori alla sprovvista, ne atterrò tre, ferendone uno, e costrinse gli altri alla fuga.

Dal fondo della strada qualcuno sparò un colpo di carabina mancando il bersaglio. Mentre gli assalitori radunavano altri uomini armati di fucili, Hiraga e l'ashigaru approfittarono della confusione di samurai e gai-jin per rifugiarsi nel negozio con lo shoya.

Un proiettile uscito dal nulla sibilò nella stanza e i tre si abbassarono mentre un vaso decorato andava in frantumi. Dal retro giunse il lamento di un bambino subito zittito.

Le grida all'esterno diventarono più forti. Lunkchurch, eccitato e obnubilato dal brandy come ogni pomeriggio, ringhiò: “Diamogli fuoco... staniamo quelle canaglie...”.

“Siete impazzito? Prenderà fuoco tutto Yokopoko...”

“Dategli fuoco, per Dio! Chi ha un fiammifero?” La lancia della Struan si accostò al molo della Città Ubriaca, tutti sbarcarono e guidati dal drappello dei fucilieri raggiunsero di corsa la piazza, cogliendo alle spalle i samurai che fronteggiavano i riottosi.

Il capitano, come prestabilito, dispose i suoi uomini a cuneo, li spinse a fucili spianati nella zona tra i due fronti di contendenti e li orientò contro i rivoltosi della Città Ubriaca che, spaventati, si dispersero dividendosi in due gruppi.

Tyrer si precipitò dal capo samurai, altrettanto allarmato dall'improvvisa apparizione della disciplinata squadra di fanti, si inchinò e gridò in giapponese: “Per favore, signor ufficiale, vostri uomini restate qui al sicuro, per favore, salutate mio capo, signore dei gai-jin”.

Perplesso, il samurai rispose automaticamente all'inchino di Tyrer e si rimise sull'attenti. In quel momento giunse sir William, ansimante per l'inconsueta corsa e si fermò un istante di fronte ai samurai. Tyrer si inchinò, poi gridò: “Salutate!”.

L'ufficiale e i suoi uomini si inchinarono e sir William rispose. Ora che i samurai erano nuovamente sotto controllo, il ministro britannico girò sui tacchi e raggiunse lo schieramento di fanti con i fucili spianati che stavano costringendo la folla ad arretrare.

“Toglietevi di qui! Indietro... indietro!” gridava il capitano.

Quando vide di non essere ubbidito come desiderava, intimò:

“INNESTATE LE BAIONETTE!”

I soldati arretrarono di due passi ed eseguirono l'ordine.

Puntarono le baionette ad altezza d'uomo e ciascuno scelse un bersaglio, trasformandosi in un ingranaggio di quella famosa macchina di morte così temuta nel mondo intero.

“PREPARATEVI A CARICARE!”

Come tutti i presenti, sir William, Tyrer e McFay trattennero il respiro.

Intorno scese il silenzio.

Poi lo spirito maligno che possiede le folle svanì, i riottosi tornarono a essere una plebaglia inerme e si sparpagliarono fuggendo in ogni direzione.

Il capitano non esitò. “Presentate i fucili! Seguitemi!” Guidò di corsa il drappello verso la zona del villaggio dove si erano radunati la maggior parte dei mercanti, i militari, una decina di soldati a cavallo e i samurai, ancora ignari dell'arrivo di sir William e della sua fanteria di marina.

Nuovamente disposti a cuneo, gli uomini giunsero alle spalle della folla urlante nel momento stesso in cui il generale gridava: “Per l'ultima volta vi ordino di andarvene o useremo la forza...”. Rispose il boato di una folla evidentemente sul punto di esplodere.

Il capitano non esitò.

“Alt! Un colpo sopra le teste, FUOCO!”

La raffica di proiettili placò le grida e l'eccitazione e calamitò l'attenzione dei presenti, anche quella della cavalleria, inducendo tutti a voltarsi o ad abbassarsi. Sir William, rosso in volto per l'ira, incedette rigido nel silenzio che segui verso la zona che separava i due fronti. In fondo alla strada, Lunkchurch e gli altri osservavano la scena paralizzati.

Il mercante teneva in mano un secondo straccio infuocato che stava per tirare.

Le fiamme del primo, caduto sulla veranda della casa, già ne lambivano le pareti. Alla vista di sir William e dei fanti il suo gruppo si dileguò nelle vie laterali precipitandosi verso casa.

Gli occhi di tutti gli altri erano fissi su sir William, che si sistemò meglio il cilindro sulla testa, estrasse dalla tasca un foglio e lo lesse con voce aspra e tonante. “Do lettura dell'editto di Sua Maestà sulle rivolte: se questa assemblea non si scioglierà immediatamente, ogni uomo, donna e bambino sarà passibile di arresto e...”

Le parole furono sommerse da un coro di imprecazioni, ma la plebaglia si dileguò.

L'editto del 1715 sulle rivolte era stato promulgato dal Parlamento dopo la ribellione dei giacobiti, sedata con difficoltà e a prezzo di misure drastiche. La nuova legge mirava a stroncare qualsiasi dissenso non autorizzato sul nascere. Conferiva a tutti i magistrati e ai giudici di pace l'autorità e il dovere di leggere l'editto a gruppi di più di dodici persone che minacciassero la pace del regno, obbligandoli ad ascoltarlo e a ubbidire.

Chiunque non si disperdesse entro quarantacinque minuti era passibile di arresto immediato, incarcerazione e, se giudicato colpevole, di condanna alla pena di morte o alla deportazione a vita, secondo il volere di Sua Maestà.

A sir William non fu necessario completare la lettura perchè nella strada del villaggio erano rimasti solo i soldati inglesi, il generale e i samurai.

“Phillip, tratta con loro e pregali di ritirarsi.” Si fermò un istante a osservare Tyrer che si avviava verso l'ufficiale samurai, si inchinava e veniva a sua volta salutato con un inchino. E' un bravo ragazzo, pensò, poi si voltò e lanciò un'occhiata torva al generale, che era paonazzo e madido di sudore. “'Giorno, Thomas.”

“'Giorno, signore.” Il generale scattò con un bel saluto solo perchè veniva osservato dai suoi uomini.

Sir William non sollevò il cilindro in risposta. Imbecille, pensava.

“Bella giornata, vero?” disse tranquillo. “Vi suggerirei di ordinare ai vostri di sciogliere le fila.” Il generale fece un cenno all'ufficiale di cavalleria, che in cuor suo aveva gioito all'arrivo di sir William, sapendo anche che il torto non era dei giapponesi e che avrebbe avuto il dovere di caricare la marmaglia disperdendola.

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