Gai-Jin (107 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Il vecchio mi ha incaricato di dirvi che il nostro uomo è molto vicino all'ufficio del primo ministro, che le sue informazioni in passato si sono sempre rivelate esatte e quella è la pura verità.

Dice giustamente che ci dobbiamo liberare in fretta di questa dannata coppia. Dmitri, devi premere su di loro anche tu. Tyler mi dice di fare tutto quello che sarà necessario e ti invita a fare lo stesso.

Sei d'accordo?”

“D'accordo. Gesù, non posso crederci” disse Dmitri.

“Io si.” Struan alzò il bicchiere chiedendosi dove si nascondesse l'inganno di Tyler. “Che brucino all'inferno.” Gli altri si unirono al brindisi e Norbert riempì di nuovo i bicchieri.

Con un'espressione più dura fissò Struan.

“Passiamo al prossimo argomento: tutti qui siete al corrente del duello. Io non ho bisogno di padrini e ci eravamo accordati per mercoledì al tramonto. Ma purtroppo questa sera mi devo imbarcare sulla Ocean Witch, ordini di Tyler, e dunque mercoledì non si può, mi dispiace. Suggerirei...”

“Perché rimandarlo, c'è ancora abbastanza luce.”

A Malcolm le parole sfuggirono prima che avesse il tempo di riflettere ma fu soddisfatto di quella reazione rapida e decisa, nonostante l'improvvisa morsa alla testa.

Il silenzio divenne più teso. Jamie era sbiancato.

“Adesso no.” A Norbert brillavano gli occhi, ma nascose il suo divertimento e si rivolse a Jamie e a Dmitri, i padrini ufficiali.

“Suggerirei di rimandarlo, con un accordo tra gentiluomini, fino al mio ritorno, fra tre settimane circa, va bene? Potremmo fissarlo per il giorno seguente.”

“Mi sembra un'idea migliore, tai-pan. Accettate?” Dopo un secondo Struan sentì sciogliersi la morsa intorno alla testa.

“Va bene” rispose senza compiacimento né disappunto, contento però di aver raccolto ancora una volta la sfida. Non notò che Jamie e Dmitri celavano un grande sollievo.

Finiti i bicchieri i tre ospiti se ne andarono.

Rimasto solo, Norbert tirò fuori la lettera di Tyler Brock e la rilesse.

Le sue mani sudavano.

La prima parte riguardava l'informazione della loro spia, poi Tyler concludeva:

 

“Metti il tuo culo sulla Ocean Witch e salpa con la prima marea, da solo, senza altri passeggeri. Portati dietro i libri contabili segreti, il contratto della miniera d'oro giapponese e tutto l'oro di cui disponi.

Ci incontreremo in segreto a Shanghai, il primo porto in cui la Witch farà scalo, anche se i manifesti dicono che va direttamente a Hong Kong. Saremo Morgan, io e te. Arriva al più presto e non dire niente a nessuno. E quando tornerai a Yokohama se vorrai forse potrai dormire nel letto di quel moccioso di Malcolm Struan, sì, con la lingua della sua sgualdrina che ti lecca dappertutto se ti farà piacere, perchè presto anche lei sarà in vendita.

Abbiamo appena saputo che suo padre è fuggito da Bangkok, come già da Hong Kong, per truffa e raggiri, ai danni di funzionari francesi, questa volta.

Lo prenderanno, lo processeranno e lo manderanno alla ghigliottina. I francesi non sono teneri come quei cagasotto dei nostri.

La mia signora ti manda i suoi migliori saluti”.

Armatura Samurai 1850

Capitolo 30


 

Kyòto, Domenica, 16 novembre

 

A notte fonda, Yoshi e le sue guardie, i volti semicoperti e vestiti da soldati semplici, si facevano strada nelle vie deserte e addormentate dell'antica capitale, dimora da secoli dell'imperatore e sede della corte imperiale.

La città era stata costruita sul modello cinese, con strade diritte e incroci ad angolo retto. Al centro, nascosto da alte mura interrotte da sei porte che ne lasciavano intravedere solo i tetti, si stendeva il grande Palazzo Proibito con i suoi giardini.

Per eludere le ronde di Otama e i samurai di guardia alle porte, Yoshi evitò con cura di passarvi davanti.

Arrivato senza farsi annunciare al quartiere murato dello shògunato, si diresse nel proprio settore e, grato, andò subito a prendere un bagno fumante. Dopo poco i muscoli indolenziti da giorni di marcia forzata cominciarono a rilassarsi.

“Di quanti combattenti dispongo a Kyòto, Akeda?” Il vecchio generale dal volto arcigno si infilò accanto a lui nella vasca profonda un metro che avrebbe potuto agevolmente ospitare otto persone.

Avevano allontanato i domestici e messo le sentinelle di guardia all'esterno del padiglione da bagno, situato nella ridotta interna del campo.

“Ottocentodue cavalieri tutti fidati e leali a voi, di cui ottanta malati o in convalescenza per le ferite subite, più i diciotto che avete portato con voi” rispose Akeda con la sua voce aspra. Il severo hatomoto la cui famiglia serviva il clan dei Toranaga da generazioni era al comando della loro guarnigione di Kyòto e all'arrivo di Yoshi aveva raddoppiato le guardie. “Non bastano per proteggervi” soggiunse.

“Qui sono al sicuro.”

Per volontà del primo shògun Toranaga, il loro era l'unico complesso di Kyòto dotato di un sistema di difesa, in grado di alloggiare fino a cinquemila uomini, mentre tutti gli altri daimyo dovevano limitarsi a un massimo di cinquecento seguaci. Nella città non potevano risiedere nello stesso periodo più di dieci daimyo e i loro movimenti erano rigidamente controllati. Il tempo e un Consiglio degli Anziani debole avevano ridotto gli uomini dello shògunato a meno di mille.

“Ne dubitate?”

“Molto spiacente, non intendevo all'interno delle nostre mura, ma all'esterno.”

“Gli alleati? Su quanti daimyo possiamo contare?” Akeda alzò le spalle irritato. “E' stato molto rischioso da parte vostra affrontare un viaggio con un numero di guardie così esiguo, e ancora più pericoloso venire a Kyòto. Se fossi stato avvisato, vi sarei venuto incontro e vi avrei scortato fin qui. Se vostro padre fosse vivo, vi avrebbe impedito una simile...”

“Ma mio padre non è vivo.”

La bocca di Yoshi si indurì. “Gli alleati?”

“Se innalzaste a Kyòto il vostro vessillo, sire, la maggior parte dei daimyo e dei samurai, qui e nell'intero territorio, si schiererebbero con voi. Disporreste di una forza più che sufficiente per imporre ogni vostra volontà.”

“Potrebbe venir interpretato come un tradimento.”

“Chiedo scusa ma al vostro livello, signore, la verità è spesso espressione di tradimento, ed è molto difficile che venga detta.” Il volto segnato dal tempo si aprì in un sorriso. “La verità: se voi innalzate lo stendardo dello shògunato quasi nessuno si schiererà con voi. I daimyo di Kyòto non si uniranno contro Ogama di Choshu, almeno finché lui avrà il controllo delle Porte.”

“Di quanti samurai dispone qui Ogama?”

“Si dice che abbia più di duemila uomini scelti, insediati nelle caserme fortificate intorno al palazzo, vicine alle nostre forze in teoria di guardia alle porte” rispose Akeda con un sorriso mesto notando il disappunto di Yoshi. “Oh, tutti sanno che è illegale, ma nessuno osa ricordarglielo né opporsi. Li ha introdotti di soppiatto a gruppi di dieci, venti alla volta, dopo aver scacciato quella vecchia volpe di Sanjiro, Katsumata e i suoi satsuma. Sapete che sono scappati via mare a Kagoshima?” Si immerse più a fondo nell'acqua. “Le voci dicono che Ogama dispone di altri due o tremila samurai choshu nel raggio di dieci ri.”

“Cosa?”

“Si sta impadronendo di Kyòto ogni giorno di più, i suoi drappelli controllano le strade, a eccezione di qualche banda occasionale di shishi che si scatena contro chiunque non onori sonno-joi, e in particolare contro di noi e tutti gli alleati dello shògunato. Sono degli idioti, perchè anche noi come loro ci opponiamo ai gai-jin e ai loro malvagi trattati e vorremmo buttarli fuori.”

“Gli shishi dispongono di molte forze?”

“Sì. Si dice che stiano preparando qualcosa di grosso. Una settimana fa alcuni di loro se la sono presa con un drappello di Ogama, definendo il loro capo un traditore. Ogama è andato su tutte le furie e adesso dà loro la caccia. Così...” Qualcuno bussò. Il capitano delle guardie si affacciò sulla soglia.

“Scusate, principe Yoshi, un emissario del signore Ogama chiede udienza.” I due sussultarono.

“Come può sapere che sono arrivato?” sbottò Yoshi furibondo.

“Negli ultimi cinquanta ri di viaggio ero travestito. Ho aspettato fuori Kyòto che si facesse buio e abbiamo superato le barriere senza incontrare nessuna pattuglia di guardia. Ci dev'essere una spia.”

“Non ci sono spie qui dentro” ribatté Akeda con voce stridula. “Ve lo giuro sulla mia testa. Ma fuori, dovunque, ci sono le legioni di Ogama, gli shishi e tutti gli altri. E non è facile per voi sfuggire ai loro sguardi, anche travestito.“

“Capitano” disse Yoshi, “ditegli che dormo e non voglio essere disturbato e che domattina lo riceverò con tutti gli onori.” Il capitano si inchinò e si accinse a uscire. “L'intera guarnigione sia messa in stato di all'erta!” ordinò Akeda.

“Pensate che Ogama oserà attaccarmi qui?” chiese Yoshi quando furono soli.

“Sarebbe una dichiarazione di guerra.”

“Sire, le sue intenzioni non mi riguardano, io devo pensare solo alla vostra sicurezza. Ora siete sotto la mia responsabilità.” Yoshi si abbandonò un secondo e scivolò nell'acqua calda che ora gli accarezzava le membra, contento che Akeda avesse la situazione sotto controllo. Sebbene non si lasciasse, influenzare dalle opinioni del vecchio, trovava la sua presenza rassicurante. Non aveva previsto di essere individuato così presto. Non importa, pensò, il mio piano rimane valido.

“Chi è il cane fedele di Ogama, il suo mediatore a corte?”

“Il principe Fujitaka, un cugino primo dell'imperatore, il fratello di sua moglie è il ciambellano imperiale.” Yoshi si lasciò sfuggire un sibilo di stupore. Il generale annuì con stizza. “E' un legame difficile da spezzare, tranne che con la spada.”

“Impensabile” tagliò corto Yoshi, ma non impossibile, pensò. Era comunque un'idiozia pronunciare una frase del genere a voce alta, anche se in privato. “Che novità ci sono sullo shògun Nobusada e la principessa Yazu?”

“Il loro arrivo è previsto tra una settimana e...” Yoshi lo guardò sorpreso. “No, il loro arrivo è previsto tra due o tre settimane.”

“La principessa Yazu” precisò Akeda con la sua voce aspra, “ha dato ordine di tornare sulla Tokaidò e proseguire per la via più breve. E' ansiosa di rivedere il fratello, di spingere il marito a inchinarsi ai suoi piedi a dispetto della tradizione, e di seppellire presto lo shògunato per consegnarlo nelle mani di Ogama.”

“Anche qui dentro, amico, dovreste tenere la lingua a freno.”

“Sono troppo vecchio per preoccuparmene, ora che siete sotto il tiro di Ogama.” Yoshi mandò a chiamare le cameriere, che li asciugarono e li aiutarono a infilarsi nelle due yukata pulite.

“Svegliatemi all'alba, Akeda” disse infine prendendo le sue spade, “ho molto da fare.” Poco prima dell'alba, nei sobborghi a sud dove il fiume piegava verso Osaka e il mare, lontani venti ri da Kyòto, dove i sentieri, le strade e i vicoli si intrecciavano come in un labirinto, in contrasto con il rigido reticolato della città vera e propria, e dove aleggiava un odore acre di feci, fango e vegetazione marcescente, Katsumata, capo degli shishi di Satsuma e confidente del principe Sanjiro, si svegliò all'improvviso, scivolò dal letto nella stanza buia e si mise in ascolto, con la spada pronta.

Nessun suono sospetto. Dal basso venivano i rumori sommessi delle cameriere e degli inservienti che accendevano i focolari, tagliavano le verdure e preparavano il cibo per la giornata. La sua stanza era al secondo piano, sotto le travi che sostenevano il tetto della Locanda dei Pini Fruscianti. Un cane abbaiò in lontananza.

C'è qualcosa che non va, pensò Katsumata.

Aprì silenziosamente lo shoji. Sul corridoio si affacciavano altre camere, tre delle quali erano occupate da due shishi ciascuna. Nell'ultima dormivano le donne della locanda.

Su un lato si apriva una finestrella che si affacciava sul cortile. Sotto non si muoveva niente. Katsumata allungò nuovamente lo sguardo verso il cancello e la strada dietro la palizzata. Niente, ancora niente. Poi uno sprazzo di luce, e più che vederlo lo sentì. Subito scostò le porte e sibilò la parola d'ordine.

I sei uomini balzarono in piedi, completamente svegli, e lo seguirono impugnando le spade giù dalle scale traballanti, oltre la zona di servizio e verso la porta sul retro.

Seguendo il piano di fuga studiato, scavalcarono il recinto della locanda, attraversarono il giardino accanto e quello seguente, ne superarono il recinto e percorsero il vicolo svoltando quasi subito in un passaggio tra basse casupole.

In fondo al vicolo cieco, Katsumata girò a sinistra e aprì cautamente una porta. Una guardia solerte gli puntò la lancia contro la gola. “Katsumatasan! Cos'è accaduto?”

“Qualcuno ci ha tradito” ansimò lo shishi, facendo segno di avvicinarsi a un ragazzo choshu, asciutto come lui e duro come l'acciaio, ma molto più giovane, di diciannove anni. “Fa' un giro di ricognizione, dà un'occhiata e torna. Bada che nessuno ti veda e non farti prendere!” Il giovane si dileguò.

Gli altri seguirono Katsumata oltre il disordinato ingresso nel labirinto di stanze della casupola collegata con passaggi segreti agli edifici circostanti. Li attendevano altri shishi, una ventina, tutti armati, per la maggior parte capitani di nuclei di cospiratori, già svegli e pronti a combattere o fuggire. Tra loro vi era Sumomo, sorella di Shorin e fidanzata di Hiraga. Si radunarono silenziosamente in attesa di ordini.

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