Gai-Jin (30 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Perché?

Adesso sembravano aspettare qualcosa. Watanabe abbassò le palpebre e nascondendosi dietro il ventaglio mormorò alcune parole. Subito l'uomo accanto a lui s'irrigidì e parlò brevemente. Tutti si alzarono e senza inchinarsi uscirono in silenzio. Watanabe per ultimo, prima dell'interprete.

“Johann, questa volta il messaggio gli è arrivato” disse Tyrer contento.

“Sì. E gli ha anche fatto girar le palle come si deve.”

“E' quello che voleva sir William.”

Johann si asciugò la fronte.

Era un uomo di altezza media, magro e forte, con i capelli castani e un volto dai lineamenti duri.

“Non vedo l'ora che tu cominci a fare l'interprete. Per me è giunto il momento di tornare ai miei monti pieni di neve finché ho la testa ancora sul collo. Ce ne sono troppi di questi cretini qui, e sono tutti troppo imprevedibili.”

“Come interprete godrai di una posizione privilegiata, immagino” disse Tyrer un pò a disagio. “Sarai sempre il primo a sapere le cose.”

“E a portare le cattive notizie! E sono tutte cattive, mon vieux. Questi ci odiano e non aspettano altro che di buttarci fuori. Io ho firmato un contratto con il vostro Foreign Office rinnovabile per mutuo consenso.

Il contratto scade tra due mesi e tre giorni e il mio inglese sta andando all'inferno.”

Johann si diresse verso il tavolinetto accanto alla finestra e prese il boccale di birra che aveva ordinato al posto del tè.

“Niente rinnovo, anche se la tentazione è forte.”

All'improvviso sorrise. “Merde, sono state proprio le tentazioni a trattenermi.”

Tyrer rise vedendo lo sguardo malizioso dell'altro. “Musume? La tua ragazza?”

“Vedo che impari in fretta.” Nel cortile anteriore gli ufficiali stavano salendo sui palanchini. In giardino ogni attività si era fermata e la mezza dozzina di giardinieri si era inginocchiata e teneva la fronte appoggiata al suolo.

Misamoto aspettava accanto a Yoshi consapevole che il minimo errore gli sarebbe costato la vita e augurandosi d'aver superato la prima prova. In un modo o nell'altro sarò utile a questo bastardo, pensava in inglese, fino al giorno in cui potrò salire su una nave americana e tornare al paradiso e raccontare al capitano che sono stato rapito quand'ero al servizio di Harris da queste canaglie sifilitiche...

Alzò lo sguardo spaventato quando si accorse che Yoshi lo stava scrutando. “Signore?”

“A cosa stavi pensando?”

“Mi auguravo di essere stato d'aiuto, sire. Io... attento alle vostre spalle, sire!” sussurrò.

Andrè Poncin stava scendendo i gradini diretto verso Yoshi. In un battibaleno i samurai formarono uno schermo protettivo. Impavido Poncin s'inchinò cortesemente e in un giapponese abbastanza corretto anche se poco scorrevole disse: “Vi chiedo scusa, potrei riferire un messaggio del mio padrone, l'esimio signore francese, per cortesia?”.

“Quale messaggio?”

“Dice che forse volete vedere l'interno di una nave a vapore, il motore, i cannoni.

Chiede e invita umilmente gli ufficiali,” Poncin restò in attesa e quando vide che la sua proposta non suscitava reazioni eccetto un imperioso segno di congedo con il ventaglio, concluse: “Grazie, signore, vi prego di scusarmi”. Si allontanò, certo di non essersi sbagliato.

Sul primo gradino della scalinata notò che Tyrer lo osservava dalla sala delle udienze. Soffocò un'imprecazione e fece un cenno di saluto che Tyrer ricambiò. Quando l'ultimo samurai lasciò il cortile anteriore, i giardinieri tornarono lentamente al loro lavoro. Uno di essi si mise la vanga su una spalla e si allontanò zoppicando. Era Hiraga, la testa coperta da un lurido cencio, il kimono lacero e sporco, felice del successo ottenuto. Adesso sapeva come, quando e dove ]'indomani avrebbe dovuto aver luogo l'attacco.

 

Una volta al sicuro sul palanchino diretto al castello, con Misamoto seduto all'altra estremità, Yoshi lasciò che la sua mente vagasse.

Era ancora sbalordito da quel maleducato congedo degli inglesi, ma non furibondo come gli altri. Era paziente, la vendetta arriverà nei tempi e nei modi che io sceglierò.

Un invito a guardare i motori di una nave da guerra e a salire a bordo?

Un'occasione da non perdere.

Accettare sarà pericoloso tuttavia dovrà essere fatto.

Guardò Misamoto che fissava la strada da una fessura del finestrino. Certamente il prigioniero era stato utile. Stupido da parte degli interpreti non tradurre con cura.

Stupido da parte del russo minacciarci. Stupido da parte di tutti loro essere così sgarbati. Stupidi i cervi cinesi a chiamarci scimmie. Molto stupido. Bene, mi occuperò di tutti prima o poi.

Ma che fare con i capi e la flotta?

“Misamoto, ho deciso di non rimandarti in prigione. Per venti giorni starai con il mio seguito e continuerai a imparare a comportarti come un samurai.”

Misamoto s'inchinò fino a toccare con la fronte il fondo del palanchino.

“Grazie, signore.”

“Se sarò soddisfatto di te. Ora, che cosa accadrà domani?” Misamoto esitò terrorizzato: la prima regola della sopravvivenza diceva di non portare mai cattive notizie a un samurai, di non ammettere niente di propria spontanea volontà e, se costretti, di dire soltanto quello che l'altro voleva sentire.

Tutto diverso da laggiù, in America, il paradiso in terra.

La risposta è ovvia, avrebbe voluto gridare tornando a pensare in inglese, l'unica cosa che gli aveva impedito di impazzire durante gli anni di isolamento.

Se tu vedessi come trattano la gente nella famiglia gai-jin dove vivevo, come mi trattavano; certo ero un servo, ma anche un uomo e mi trattavano meglio di quanto avrei potuto sognare. Se tu vedessi come gli uomini camminano a testa alta e possono portare un coltello o un'arma da fuoco, a parte gli uomini neri, se tu vedessi come sono impazienti di risolvere un problema per precipitarsi subito a risolverne un altro, anche con un pugno se necessario, o con una revolverata o un colpo di cannone. Se tu capissi come si vive in un posto dove per la legge quasi tutti sono uguali e dove non ci sono daimyo fetenti o samurai che ti possono ammazzare se gli salta in mente... Come se avesse letto i suoi pensieri, Yoshi disse a bassa voce: “Dimmi la verità, dimmi sempre la verità se tieni alla tua vita”.

“Certo, signore, sempre.” Terrorizzato, Misamoto decise di rispondere.

“Mi dispiace, signore, ma se non avranno quello che vogliono penso che... che distruggeranno Edo.” Sono d'accordo, ma la distruggeranno soltanto se ci comporteremo da stupidi, pensò Yoshi. “I loro cannoni sono in grado di farlo?”

“Sì, sire. Non il castello, ma la città brucerebbe.” E sarebbe una stupida perdita di risorse per i Toranaga. Dovremo trovare altri contadini, artigiani, cortigiani e mercanti per servirci.

“Dunque come faresti a concedere un dito senza lasciarti prendere il braccio?” chiese Yoshi.

“Vi prego di scusarmi sire, non lo so, non lo so.”

“Allora pensaci. E portami la tua risposta all'alba.”

“Ma... sì, signore.”

Yoshi si adagiò sui cuscini di seta e tornò col pensiero alla riunione del Consiglio.

Alla fine Anjo era stato costretto a ritirare l'ordine di evacuare il castello perchè non c'era una netta maggioranza ed era stato lo stesso Yoshi in qualità di Guardiano a proibire la partenza dello shògun.

Questa volta ho vinto ma soltanto grazie all'ostinazione di quel vecchio scemo di Toyama che voleva mettere in atto il suo folle piano d'attacco e non ha votato né per me né contro di me. Anjo ha ragione: di solito gli altri due sono con lui.

Non lo sostengono per questioni di merito ma soltanto perchè io sono ciò che sono, un Toranaga che avrebbe dovuto diventare shògun al posto di quello stupido ragazzo.

Poiché Yoshi si sentiva al sicuro nel suo palanchino ed era solo a parte Misamoto, che comunque non poteva conoscere i suoi più intimi pensieri, si concesse il lusso di aprire quel compartimento segnato con il nome di Nobusada, affollato di pensieri segreti, esplosivi, pericolosi e ossessivi.

Che fare di lui?

Non posso contenerlo ancora per molto. E' infantile, e ora è caduto nelle grinfie più pericolose, quelle della principessa Yazu spia dell'imperatore e nemica giurata dello shògunato.

Yazu ha rotto il suo fidanzamento con l'adorato compagno d'infanzia, un principe di bell'aspetto e con tutti i requisiti necessari, costringendosi in un esilio permanente da Kyòto, dalla famiglia e dagli amici, nella gabbia di un matrimonio con uno smidollato la cui erezione vale quanto una bandiera in un'estate senza vento e che probabilmente non le darà mai figli.

Adesso ha progettato questa visita di stato a Kyòto per rendere omaggio all'imperatore, un colpo magistrale che distruggerà il delicato equilibrio di secoli: un editto garantisce a uno shògun e ai suoi discendenti autorità sull'impero e conferisce loro anche il titolo di Alto Connestabile.

E' per questo che gli ordini dello shògun sono legge per il paese.

Sarà soltanto la prima d'una serie di concessioni, pensava Yoshi e ben presto l'Imperatore regnerà in nostra vece.

Nobusada non può capirlo, i suoi occhi sono offuscati dagli inganni della principessa.

Che fare?

Ancora una volta Yoshi imboccò il ben noto sentiero segreto: Nobusada è il signore a cui per legge devo fedeltà. Non posso ucciderlo con le mie mani. E ben protetto, e per il momento non sono pronto a sacrificare la mia vita. Di quali altri mezzi dispongo? Il veleno?

Sarei il primo a essere sospettato, e anche se riuscissi a liberarmi dei vincoli che mi incatenano, poiché sono prigioniero anch'io come Misamoto, il paese verrà distrutto da un'interminabile guerra civile dalla quale gli unici a trarre profitto sarebbero i gai-jin e, quel che è peggio, avrei tradito il mio giuramento di alleanza e fedeltà allo shògun, chiunque egli sia, e alleato.

Devo fare in modo che sia qualcun altro a ucciderlo per me. Gli shishi?

Potrei dar loro una mano, ma aiutare dei nemici votati alla tua distruzione è pericoloso. L'altra possibilità sono gli dei.

Si concesse un sorriso. La buona e la cattiva sorte, aveva scritto lo shògun Toranaga, la fortuna e la sfortuna devono essere lasciati al cielo e alla legge naturale, non sono cose che si possano ottenere con la preghiera o con le astuzie.

Sii paziente, gli sembrò di sentirsi dire da Toranaga, su paziente.

Va bene, lo sarò.

Yoshi richiuse quel compartimento e tornò a pensare al Consiglio.

Che cosa dovrò dire? A questo punto sapranno di sicuro che ho incontrato i gai-jin. Insisterò su una regola che in futuro deve diventare assoluta: dobbiamo mandare a questi incontri soltanto uomini intelligenti.

Che altro? Racconterò dei soldati: giganti con le uniformi scarlatte, le gonnelline corte ed enormi cappelli piumati, tutti armati di fucili a retrocarica ben lucidati, trattati con la stessa cura che noi riserviamo alle nostre lame.

Devo raccontar loro che questi nemici sono sciocchi, privi di finezza, che possono essere controllati in virtù della loro impazienza e del loro odio?

Misamoto mi ha raccontato abbastanza per arrivare alla conclusione che anche gli stranieri sono ribelli e gonfi d'odio come i daimyo.

No, questo lo terrò per me. Ma comunicherò loro che domani la nostra delegazione andrà incontro a un fallimento se non escogitiamo un modo di procrastinare l'incontro accettabile per i gai-jin.

Quale potrebbe essere?

“Il messaggero. Misamoto” chiese in tono indifferente, “l'uomo alto con il nasone, perchè parlava come una femmina usando le parole delle femmine?

Era mezzo uomo e mezza donna?”

“Non so, sire . Ma forse... ce ne sono molti sulle navi, sire, anche se lo nascondono.”

“Perché?”

“Non so, sire, è difficile capire. Non parlano apertamente della fornicazione come noi, delle posizioni migliori, e non discutono se un ragazzo sia meglio di una donna. In quanto al parlare come le femmine, nella loro lingua parlano tutti nello stesso modo, voglio dire che uomini e donne usano le stesse parole, è diverso dal giapponese.

I pochi marinai che ho incontrato che sapevano qualche parola di giapponese, uomini che avevano vissuto a Nagasaki, parlavano come il nasone straniero perchè avevano imparato la nostra lingua dalle prostitute. Si, imparano le nostre parole dalle prostitute. Non sanno che le nostre donne parlano in modo diverso da noi, dagli uomini. Sire, non sanno che noi usiamo parole diverse come dovrebbero fare tutte le persone civili.” Yoshi nascose l'eccitazione improvvisa.

Le puttane sono il loro unico contatto con la nostra realtà, pensò.

E tutti le frequentano. Perciò il modo per controllarli e persino colpirli è attraverso le puttane, femmine o maschi che siano.

 

“Non ordinerò alla mia flotta di bombardare Edo senza un ordine formale dell'ammiragliato o del Foreign Office” dichiarò l'ammiraglio paonazzo in volto.

“Le istruzioni ricevute invitano alla cautela, sia me che voi.

Noi non siamo una missione punitiva.”

“Per amor di Dio, abbiamo avuto un incidente che deve essere risolto.

Certo che si tratta di una missione punitiva!”

Sir William non era meno furente dell'ammiraglio. Le otto campane della mezzanotte rintoccarono mentre intorno al tavolo rotondo della cabina l'ammiraglio e sir William discutevano con il generale, Thomas Ogilvy. La cabina era bassa e ampia e dagli oblò a poppa si vedevano le luci delle altre navi.

“Lo ripeto ancora una volta: credo che senza l'impiego della forza non si piegheranno.”

“Ottenete l'ordine scritto, per Dio e ci penserò io a piegarli.” L'ammiraglio si riempi nuovamente il bicchiere da una caraffa di porto ormai semivuota. “Thomas?”

“Grazie.” Il generale tese il bicchiere.

Cercando di controllarsi, sir William spiegò: “Lord Russell ci ha già dato istruzione di insistere presso la Bakufu per ottenere i danni, venticinquemila sterline, per le uccisioni avvenute nella Legazione, il sergente e il caporale dell'anno scorso, e se sapesse di questo nuovo incidente sarebbe ancora più esigente. Io lo conosco, voi no” aggiunse esagerando per amore dell'effetto. “Ci vorranno tre mesi per ricevere la sua approvazione.

Se non otteniamo soddisfazione ora gli omicidi non avranno mai fine e senza il vostro appoggio io non posso fare niente.”

“Avete il mio pieno appoggio, per Dio, ma non scatenerò una guerra.

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