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Authors: Jhumpa Lahiri

In Other Words (48 page)

BOOK: In Other Words
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Nel caso del portico di Ottavia, però, faccio un'eccezione. Non ho mai visto il portico senza impalcatura, per cui ormai la considero permanente, naturale. Nonostante sia un'ostruzione, l'impalcatura aggiunge alla rovina un attributo commovente. Mi sembra un miracolo vedere le colonne, il frontone, restaurato e dedicato in età augustea. Mi stupisco
che si possa camminare tranquillamente sotto questo complesso, a pezzi eppure ancora presente. Racconta il passare del tempo ma anche il suo azzeramento.

Quando la mia scrittura italiana viene pubblicata, l'impalcatura scompare. A parte certe parole, certe scelte che tradiscono il fatto che l'italiano non sia la mia lingua, non si vede ciò che mi puntella, che mi protegge. Ciò che nasconde la parte vulnerabile resta invisibile. Ma quest'assenza non è altro che un'illusione. Io sono consapevole sempre della mia impalcatura, senza la quale sarei crollata anch'io.

A differenza del portico di Ottavia la mia scrittura italiana, appena iniziata, non è ancora logora. Dubito che durerà per secoli. Ma l'impalcatura serve per lo stesso motivo: rafforzare un lavoro che potrebbe cadere. Non la trovo brutta. Forse un giorno non ce ne sarà più bisogno. Se riuscissi a sbarazzarmene e scrivere per conto mio, mi sentirei più indipendente. Ma la mia impalcatura, un gruppo di cari amici che mi hanno guidata e circondata, a cui lego una delle esperienze più straordinarie della mia vita, mi mancherà.

PENOMBRA

S
i sveglia disorientato, agitato da un sogno, accanto a sua moglie.

Anche nel sogno era accanto alla moglie. Sempre disorientato, agitato. Stavano guidando in campagna lungo una strada fiancheggiata da alberi e cespugli. C'era una luce indeterminata. Poteva essere o l'alba o il tramonto. Il cielo era pallido ma aveva una punta di rosa.

Il paesaggio evocava un vecchio quadro dipinto a olio: una scena rurale, spopolata, tenebrosa. Le chiome degli alberi sembravano una massa di nuvole che ingombravano il cielo, e i tronchi gettavano ombre sottili che li accompagnavano lungo un lato della strada.

La moglie era al volante. E mentre lei guidava lui era pieno di ansia, perché alla macchina, benché funzionasse, mancava tutta la carrozzeria. A parte il volante, i pedali, il cambio, non c'era nulla tra loro e la strada.

La moglie guidava come se non se ne fosse accorta, oppure come se non ci fosse nessun pericolo, mentre l'assenza dell'involucro dell'auto e la prossimità della strada lo sgomentavano.

Gridò alla moglie di fermarsi. Ma come al solito nei sogni
non aveva una voce. Erano andati avanti così, senza parlare, senza problemi, sempre lungo le ombre sottili degli alberi. Non c'era nessun ostacolo lungo la strada. Non avevano avuto nessun incidente, benché lui se lo aspettasse. Forse il dettaglio più inquietante del sogno era quello.

Ora è notte fonda e sua moglie dorme, ma per lui, appena tornato da un paio di mesi all'estero, è già mattino. Ha l'impulso di alzarsi e di iniziare la giornata. Appartiene ormai al ritmo quotidiano di un altro Paese dove il cielo è già azzurro, dove lui non c'è più.

Non riesce a dormire, eppure l'effetto del sogno lo stordisce. Teme che ci siano altre assenze, altre cose venute a mancare. Vuole controllare che ci sia ancora il pavimento sotto il letto, che la stanza abbia ancora quattro pareti.

Sua moglie rimane lì, alla sua sinistra, così come nel sogno. Vede le sue braccia nude, i suoi lineamenti illuminati dalla luna piena.

Anche la tavola, a cena, terminata poche ore fa, era stata piena. La moglie aveva organizzato una grande cena per festeggiare il suo rientro. Lui non aveva appetito, lo schiamazzo allegro attorno al tavolo gli dava fastidio. A quell'ora, dopo aver percorso una grande distanza, voleva solo andare a letto.

Invece era rimasto seduto al tavolo, raccontando agli ospiti, tutti loro cari amici, delle sue esperienze all'estero: il Paese in cui era stato, l'appartamento che aveva affittato, l'aspetto della città. Parlava della gente, e del loro carattere. Spiegava il lavoro che aveva fatto. A un certo punto, per soddisfare la curiosità di uno degli ospiti, aveva detto un paio di cose nella lingua straniera che aveva imparato, sentendosi, in quel momento, forestiero in casa propria.

Entra in cucina. Non c'è bisogno di accendere la luce, basta il bagliore della luna. Vede la scia spettacolare della cena: tutti i piatti e bicchieri sporchi, pentole e padelle unte, un vassoio gigantesco di ceramica in cui la moglie aveva servito un piatto squisito. La sera precedente avevano lasciato tutto così prima di andare a letto, lui perché era stanco, lei perché aveva bevuto un po' troppo.

Comincia a lavare le pentole, a grattare via gli avanzi ormai incrostati sui piatti, a risciacquare le posate. Riempie e accende la lavastoviglie. Mette tutto in ordine, toglie ogni traccia del festeggiamento.

Nella cucina ripulita si prepara il caffè, cerca del pane. Ha voglia di mangiarne una fetta: all'estero, nella cucina del suo appartamento, non c'era un tostapane, faceva una colazione diversa. Trova un pacchetto pieno di pane, infila una fetta nel tostapane. Ma non entra, c'è qualche ostacolo dentro la fessura. Poi vede che c'è già un'altra fetta lì dentro, secca, dura, fredda.

A chi appartiene questa fetta dimenticata, ancora intatta? La moglie non l'avrebbe lasciata lì. Ha smesso di mangiare questo tipo di pane, dice che ha un'intolleranza. Gli viene un sospetto, sbucato dal nulla, per cui avverte uno spavento ancora più agghiacciante che nel sogno. Si chiede se sua moglie abbia un amante, se la fetta trascurata appartenga a lui.

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