Erano tutti goshi e si erano ribellati quando si erano visti rifiutare l'iscrizione alla scuola superiore perchè le loro famiglie non potevano permettersi di corrompere gli ufficiali locali. Avevano ucciso gli ufficiali, si erano dichiarati ronin seguaci di sonno-joi ed erano entrati in clandestinità.
Di quei dieci, Rushan era l'unico superstite. Ancora per poco, pensò orgogliosamente sapendo di essere preparato, ben addestrato, al massimo della sua potenza e che Izuru sarebbe stato suo testimone.
Izuru era animato dallo stesso ardore. Aveva già deciso il suo piano d'attacco nel caso Rushan avesse fallito.
Si spostò con calma e sicurezza in un punto più adatto. Distolse gli occhi dalla colonna per gettare uno sguardo al cancello. Le guardie si stavano preparando per il controllo dei soldati che stavano arrivando.
Notò subito che c'era più trambusto del solito, che gli ordini venivano gridati a voce più alta e che gli uomini si muovevano con grande zelo e nervosismo.
Imprecò. Lo sanno anche loro! Certo che lo sanno. L'hanno sempre saputo fin da quando la colonna è uscita! Questo spiega come mai sono stati nervosi e irritabili per tutta la mattina. Lo sapevano tutti che il principe Yoshi era fuori travestito da soldato. Ma perchè? E dov'è andato?
Da Ogama! Ma perchè? Hanno progettato un'altra imboscata contro di noi?
Siamo stati traditi un'altra volta?
Non perdeva d'occhio la colonna né i soldati al cancello e non dimenticava neppure Rushan, calcolando i metri e i secondi che ancora mancavano. Già alcuni passanti e i venditori delle bancarelle più vicine si stavano inchinando.
Da un momento all'altro l'ufficiale avrebbe intimato l'alt, l'ufficiale al cancello gli si sarebbe avvicinato e dopo un inchino e un'ispezione ai soldati si sarebbero allontanati tutti insieme.
L'ufficiale alzò una mano, la colonna si fermò. “Adesso” disse Izuru quasi a voce alta, e fece il segnale prestabilito. Rushan lo vide e scattò verso la retroguardia della colonna venti metri più lontana impugnando la spada con entrambe le mani.
Travolse i primi due uomini prima ancora che chiunque si fosse reso conto dell'attacco e si lanciò su Yoshi che restò a fissarlo disorientato per una frazione di secondo.
Soltanto il suo atavico istinto lo fece inclinare di lato lasciando che il colpo mortale si abbattesse su un incredulo soldato che cadde a terra senza neppure accorgersene.
Nell'improvvisa baraonda che si era scatenata tutt'intorno, al grido di sonno-joi Rushan estrasse la lama dal corpo del malcapitato mentre i soldati cercavano di guadagnare il cancello o restavano, come i civili del mercato, paralizzati e a bocca aperta.
Wataki, l'informatore shishi, non meno sorpreso degli altri, era terrorizzato all'idea d'essere coinvolto o tradito da quello shishi sbucato dal nulla.
Wataki vide Rushan colpire ancora e trattenne il respiro. Ma Yoshi, pur non avendo ancora avuto il tempo di estrarre la spada dal fodero, aveva ritrovato l'equilibrio e usò l'impugnatura della lancia per parare il fendente. Rushan la spezzò senza difficoltà ma la lama della sua spada nell'impatto si storse e il colpo ne fu rallentato, ciò che diede a Yoshi la possibilità di balzare in avanti e afferrarne l'elsa con la mano sinistra.
Immediatamente la mano di Rushan corse a impugnare la spada corta e brandendola si avventò contro il ventre di Yoshi in una tecnica tradizionale del combattimento corpo a corpo. Yoshi era preparato anche a questo.
Aveva lasciato cadere ciò che restava della lancia piegando l'avambraccio destro contro il polso di Rushan per deviare il colpo e intralciare l'arma con il suo mantello. Rushan la lasciò cadere senza indugi e con dita forti come artigli assassini cercò di strappare gli occhi di Yoshi. Mancò le pupille ma le unghie affondarono nelle palpebre inferiori.
Yoshi trattenne il respiro.
Un uomo meno allenato avrebbe allentato la presa sull'elsa della katana del suo assalitore e sarebbe morto. Tuttavia, benché accecato, lui resistette con entrambe le mani all'uomo che adesso si agitava convulsamente senza più ragionare. Ciò permise a un soldato di afferrarlo alla gola e Wataki, sapendo che l'attacco era fallito e terrorizzato all'idea che lo shishi venisse catturato vivo, spinse con sollievo la lama della sua spada nella schiena di Rushan. La lama attraversò il corpo di Rushan che emise un grido. Dalla sua bocca fuoriuscì del sangue ma lui continuò a combattere alla cieca mentre la morte lo ghermiva, finendolo. Dall'inizio dell'attacco non era trascorso più di un minuto.
In preda al panico, Yoshi si rese conto che la vita abbandonava il suo assalitore. E sentì il peso improvviso del corpo dell'uomo contro il suo. Ma non lasciò la presa fino a quando non fu completamente sicuro che l'altro fosse davvero morto. Lasciò che fossero i soldati ad allontanare il corpo e a lasciarlo cadere.
Era coperto di sangue. Tuttavia si accorse subito che non si trattava del suo. La buona sorte non dissipò la sua ira nei confronti degli uomini che non erano all'erta, che non si erano schierati per proteggerlo lasciandolo solo a difendersi. Li maledisse ordinando che si inginocchiassero e che le loro spade venissero spezzate, eccetto i due che l'avevano aiutato. Poi si guardò intorno ansimante. La strada, affollata fino a qualche istante prima, era quasi deserta.
Quando avevano capito cosa stava succedendo e avevano riconosciuto Yoshi, a capo scoperto, la folla era stata percorsa da un mormorio sbigottito.
Due o tre uomini si allontanarono subito, altri lì seguirono di lì a poco. La cauta ritirata divenne presto generale perchè nessuno voleva essere chiamato in causa come testimone, tantomeno intendeva affrontare un'accusa di complicità.
Izuru fu tra i primi ad andarsene quando si rese conto che un secondo attacco non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita. Rushan aveva commesso uno sbaglio, pensò percorrendo la strada secondaria ben protetto dalla folla, come stabilito dal piano per la ritirata.
Lo stupido avrebbe dovuto staccare la testa ai primi due come diversivo e utilizzare la brutalità e la fluidità di quello stesso slancio per colpire l'obiettivo principale all'altezza della vita. A un simile colpo Yoshi non sarebbe potuto sfuggire. Assolutamente no.
Katsumata sarà furioso, ha già dimostrato di cosa è capace, l'ha ripetuto centinaia di volte. Un'occasione unica sprecata così! In quanto poi all'aver lasciato a Yoshi la possibilità di afferrare l'elsa della spada e parare l'affondo...
Rushan avrebbe meritato d'essere catturato vivo e usato per far pratica con le spade! Un momento, forse però è stato meglio così. Se si è dimostrato tanto inetto nel momento del duello supremo probabilmente avrebbe ceduto alle torture svelando l'indirizzo dei nostri nascondigli, perlomeno di quelli che conosceva; non ci si può mai fidare di un Tosa, shishi o no!
Ma perchè Toranaga Yoshi ha voluto correre un simile rischio?
Sentì delle grida alle sue spalle.
I soldati si erano lanciati all'inseguimento della folla nel tentativo di fermare qualche testimone. Ma fino a lui non sarebbero mai arrivati, non c'era bisogno che si affrettasse.
Cominciò a piovere. Si alzò il vento. Si avvolse il mantello intorno alle spalle contento di averlo indossato insieme al cappello. Imboccò una serie di vicoli, attraversò un ponte scivoloso e giunse nel dedalo di stradine che conducevano all'ingresso posteriore e seminascosto nel muro di cinta di un'abitazione dalle dimensioni imponenti; la guardia lo riconobbe e lo lasciò passare facendogli cenno di affrettarsi verso il nascondiglio segreto degli shishi nell'immenso giardino.
Sull'uniforme della guardia brillavano le insegne del Cancelliere Wakura.
Nelle strade del quartier generale Toranaga, intanto, il padrone della bancarella vicina al cancello veniva spinto a forza nella caserma.
L'uomo protestava a gran voce di non sapere niente dell'accaduto, di essere soltanto un mercante, e implorava i soldati di lasciarlo andare.
Non aveva osato sparire insieme alla folla perchè il suo volto era ben noto agli uomini di Yoshi.
Dietro di lui i soldati spingevano qualche ritardatario su cui erano riusciti a mettere le mani.
Il vento agitava la desolata tenda della bancarella.
Koiko stava dando al trucco i tocchi finali con l'ausilio di uno specchio di acciaio lucidissimo.
Le tremavano leggermente le dita. Si sforzò ancora una volta di svuotare la mente e di razionalizzare le sue paure, la paura di Yoshi e per Yoshi, di se stessa e per se stessa. Le altre due ragazze, Teko, la sua maiko, apprendista, e Sumomo, la guardavano con grande attenzione. La stanza era piccola e funzionale, come del resto tutto l'appartamento attiguo a quello di Yoshi. Koiko vi poteva dormire sola o in compagnia di una cameriera. Le altre stanze, quelle per la sua servitù, erano più lontane.
Quand'ebbe finito si guardò nello specchio.
Nessun segno di preoccupazione era visibile, e quando cercò di sorridere la sua pelle si increspò solo nei punti giusti; gli occhi erano bianchi dove dovevano essere bianchi, neri dove dovevano essere neri, e soprattutto non mostravano alcuna ombra di preoccupazione.
Se ne compiacque. Poi colse nello specchio l'immagine di Sumomo che ignorando d'essere osservata lasciava trasparire qualcosa di sé sul volto. Lo stomaco di Koiko si contrasse notando tutti i conflitti che vi si potevano leggere.
Disciplina disciplina disciplina, pensò. Cosa faremmo senza disciplina? E si voltò a guardarle. Teko, poco più d'una bambina, prese lo specchio senza aspettare che le venisse chiesto di farlo e con abilità sistemò un ricciolo fuori posto della padrona.
“E' bellissimo, signora Koiko” disse Sumomo incantata. Era la prima volta che entrava nelle stanze private di Koiko, e assistere alla cerimonia del trucco le aveva svelato segreti della cui esistenza non aveva mai avuto il minimo sospetto.
“Sì” rispose Koiko, credendo che la ragazza si riferisse allo specchio la cui perfetta superficie ne faceva un oggetto di impareggiabile valore.
“Ed è anche uno specchio gentile. Sono pochi gli specchi gentili, Sumomo, e per una donna è di vitale importanza possederne uno in cui guardare se stessa.”
“Oh, mi riferivo al vostro viso, non allo specchio” disse Sumomo imbarazzata. “Dal kimono all'acconciatura, tutto è perfetto, i colori, il trucco delle labbra, degli occhi. Vi ringrazio di avermi consentito di assistere ai preparativi.” Koiko rise. “Spero che con trucco o senza l'effetto non sia troppo diverso!”
“Oh, voi siete la donna più bella che io abbia mai visto” esclamò Sumomo. Paragonata a Koiko lei si sentiva una contadina, inelegante, inetta, ottusa, tutta dita e gomiti e piedi enormi, e per la prima volta nella vita fu consapevole della sua poca femminilità.
Che cosa troverà in me il mio amato Hiraga?, si domandò costernata. Sono una nullità, sono davvero poco attraente e non sono nemmeno una choshu come lui. Non gli porto prestigio né terre né denaro e sono sicura che i suoi genitori in realtà mi disapprovano.
“Siete, siete la più bella che avrò mai occasione di vedere!” disse. Sono tutte come te le signore del Mondo Fluttuante? pensava intanto. Anche la maiko diventerà bellissima da grande, anche se non proprio come la sua padrona! Non mi stupisce che gli uomini sposino quelle come me per avere qualcuno che mandi avanti la casa e cresca i figli.
Poi andranno ad adorare altrove una donna come questa, a godere altrove della bellezza. E quanto è più bella di me!
Insieme alla sincerità Koiko lesse sul volto della ragazza anche l'infelicità e l'invidia. “Anche tu sei molto bella, Sumomo” disse, pur sapendo di avere spesso questo effetto sulle altre donne. “Teko-chan, adesso puoi andare, ma prepara tutto per più tardi... e fai in modo che nessuno ci disturbi.”
“Sì, padrona.” Teko aveva undici anni. Com'era accaduto a Koiko, anche il contratto di Teko era stato stipulato tra la mama-san della Casa del Glicine e i genitori contadini della ragazza quando questa aveva compiuto sette anni. Avrebbe cominciato a guadagnare del denaro all'età di quattordici o quindici anni. Fino ad allora, e fino a quando avrebbe voluto la mama-san, il contratto rendeva quest'ultima responsabile di nutrire e vestire Teko e istruirla per un futuro nel Mondo Fluttuante qualora avesse sviluppato le attitudini necessarie, in una o più delle varie arti: musica, danza, poesia o conversazione.
Se la maiko si fosse rivelata poco incline all'apprendimento la mama-san avrebbe potuto rivenderne a suo piacimento il contratto, ma se la scelta si fosse rivelata buona, come nel caso di Koiko, la mama-san riteneva che l'investimento finanziario e il rischio corso sarebbero stati ripagati abbondantemente sia in termini economici che di prestigio. Non tutte le mama-san erano sollecite o generose o pazienti.
“Adesso corri a fare le tue scale” disse Koiko.
“Sì, padrona.” Teko sapeva d'avere avuto una grande fortuna a essere stata scelta come apprendista da Koiko. L'adorava e lavorava con impegno per compiacerla. La salutò con un inchino perfetto e si allontano circondata da un'aura di fascino.
“Eccoci sole.” Koiko guardò Sumomo con disagio e attrazione insieme, affascinata dal suo sguardo diretto, dai suoi modi bruschi e dalla sua franchezza. Da quando cinque giorni prima aveva acconsentito ad accoglierla, non aveva mai avuto l'occasione di parlarle a quattr'occhi.
Ora era giunto il momento di farlo. Aprì una porticina della sua mente: Katsumata.
Oh, amico mio, che cosa mi hai fatto?
Katsumata le aveva teso un tranello mentre era in visita alla mama-san di Kyòto che, dietro richiesta di Meikin, la mama-san di Edo, le aveva trovato le cameriere, le parrucchiere e le massaggiatrici per il suo soggiorno in città. Koiko aveva portato da Edo soltanto Teko e una cameriera.
“Ti chiedo il mio ultimo favore” aveva esordito Katsumata.
“No, non farlo!” Koiko era sbalordita di vederlo, e sconvolta per quell'incontro clandestino così pericoloso e per quel favore, che avrebbe sicuramente avuto conseguenze terribili. Dopo, Katsumata non avrebbe più potuto chiederle niente e avrebbe anzi contratto con lei un debito enorme. “Quando Toranaga Yoshi mi ha preso con sé abbiamo stabilito che non ci sarebbero più stati contatti tra noi eccetto in caso d'emergenza.
L'abbiamo concordato insieme.”
“Infatti. E' per questo che ti chiedo il mio ultimo favore.” Sette anni prima, a Edo, quando Koiko aveva quindici anni, Katsumata era stato il suo primo cliente diventando, nel giro di breve tempo, molto di più: amico, confidente e consumato maestro. Le aveva aperto gli occhi sulla vita, sull'importanza del mondo reale che esisteva al di là del Mondo Fluttuante. Nel corso degli anni le aveva insegnato la cerimonia del tè, l'arte della conversazione, la calligrafia, la poesia e svelato i significati più reconditi di letteratura e politica; le aveva trasmesso i suoi ideali e comunicato i progetti per il futuro, quando la sua piccola banda di fedeli samurai avrebbe preso il dominio del paese imponendo sonno-joi, e a tempo debito le aveva illustrato il ruolo vitale che lei avrebbe svolto nel piano generale.