“Spiacente, Ori-san resterà fino a...”
“Spiacente, dall'attacco al primo ministro Anjo la caccia agli shishi si è intensificata e le taglie per qualsiasi informazione sono andate alle stelle. La pena è la morte per chiunque, per chiunque dia loro riparo.”
“Quell'ordine riguarda Edo, non Kanagawa” ripeté Sumomo.
“Spiacente ma qualcuno ha parlato” disse la mama-san a denti stretti. Si chiamava Noriko. In quel momento le due donne erano sole nelle sue stanze private alla Locanda dei Fiori di Mezzanotte.
Erano entrambe inginocchiate su cuscini rossi e la stanza era illuminata dalle candele; un tavolino basso le separava.
Noriko era appena tornata da un difficile incontro con il ricco mercante usuraio che aveva alzato l'interesse della sua ipoteca dal trenta al trentacinque per cento, adducendo come scusa il pericolo in cui versava lo stato in quel momento. Cane bastardo, pensò furente, poi accantonò quel problema per affrontarne un altro ancora più pericoloso. “Questa mattina ho saputo che la Ronda Armata è ...”
“Chi?”
“La Ronda Armata. Sono pattuglie speciali di uomini della Bakufu che vengono a interrogare la gente, uomini senza pietà. Sono arrivati di notte. Mi aspetto di ricevere una loro visita da un momento all'altro.
Spiacente, ma all'alba deve andarsene.”
“Spiacente, ma lo terrai qui fino a quando sarà guarito.”
“Non ne ho il coraggio! Non dopo quello che è successo alla Locanda dei Quarantasette Ronin. Gli uomini della Ronda non conoscono pietà.
Non voglio che questa testa mi venga tagliata.”
“Ma quella era Edo, qui siamo a Kanagawa. Questa è la Locanda dei Fiori di Mezzanotte. Spiacente, Hiraga-san insisterebbe.”
“Nessuno può insistere qui, signora” rispose Noriko con asprezza.
“Nemmeno Hiraga-san. Devo pensare a mio figlio e alla mia Casa.”
“E giusto. E io devo pensare all'amico di mio fratello e alleato di Hiraga.
Devo anche ricordare il voto di mio fratello. Inoltre sono autorizzata a pagare i suoi debiti.” Noriko la guardò a bocca aperta. “Tutti i debiti di Shorin?”
“Metà adesso e metà quando sonno-joi sarà al potere.”
“Accetto” disse Noriko, così sbalordita da quell'inaspettato colpo di fortuna da dimenticarsi di trattare sul prezzo. “Ma niente dottori gai-jin e soltanto per una settimana.”
“D'accordo.” La ragazza estrasse da una tasca segreta della manica una piccola borsa. Noriko trattenne il respiro alla vista di tutte quelle monete d'oro.
“Ecco qui dieci oban. Mi rilascerai una ricevuta dettagliata per la metà che abbiamo convenuto quando ce ne andremo. Dove possiamo mettere al sicuro Ori-san?” Noriko si maledisse per aver avuto tanta fretta di accettare, ma ormai non poteva più tirarsi indietro per non perdere la faccia. Mentre rifletteva sul da farsi osservava la ragazza seduta davanti a lei, Sumomo Anato, sorella minore di Shorin Anato, lo shishi, il Selvaggio, il ragazzo che tanti anni prima lei aveva iniziato al mondo adulto.
Quanta passione, che vigore per un ragazzo tanto giovane, pensò con rimpianto. E che eccezionale cortigiana sarebbe diventata Sumomo. Insieme potremmo guadagnare una fortuna, tra un anno o due si sposerebbe un daimyo, e se è ancora vergine che prezzo potrei ottenere! E' bella Proprio come aveva detto Shorin, una tipica satsuma, e secondo lui è una samurai in tutto e per tutto. Bellissima. “Quanti anni hai, signora?” Sumomo sembrò stupita da quella domanda. “Sedici.”
“Sai come è morto tuo fratello?”
“Sì. Lo vendicherò.”
“Te l'ha raccontato Hiraga?”
“Tu fai troppe domande” disse Sumomo tagliente.
Noriko era divertita. “Nel gioco che tu e io stiamo giocando, anche se tu sei samurai e io mama-san, siamo sorelle.”
“Davvero?”
“Oh si, spiacente, ma è il gioco molto serio di proteggere i nostri uomini, di fare da schermo alla loro audacia o stupidità, dipende su quale lato ti trovi, rischiando le nostre vite per proteggerli da loro stessi, è un gioco che merita fiducia da entrambe le parti. Fiducia di sorelle di sangue.
Dunque è stato Hiraga a raccontarti di Shorin?” Sumomo sapeva di trovarsi in una posizione indifendibile.
“Sì.”
“Hiraga è il tuo amante?” Sumomo socchiuse gli occhi. “Hiraga è... era fidanzato con me prima che... prima che se ne andasse per servire sonno-joi.” La mama-san sbatté le palpebre. “Un samurai satsuma acconsente a promettere la figlia a un samurai choshu, shishi o no, ronin o no?”
“Mio padre non approvava il nostro fidanzamento, Né l'approvava mia madre. A mia volta io non approvavo la scelta che la famiglia aveva fatto per me.”
“Ah, mi dispiace.” Noriko era rattristata perchè sapeva bene che per una ragazza ciò significava subire pressioni continue, essere confinata in isolamento o peggio: “Sei stata ripudiata dalla tua famiglia?”.
Sumomo restò immobile e parlò con calma: “Alcuni mesi fa ho deciso di seguire mio fratello e Hiraga-san per risparmiare a mio padre la vergogna. Adesso sono ronin”.
“Sei impazzita? Le donne non possono diventare ronin.”
“Noriko” disse Sumomo giocando d'azzardo, “hai detto che dovremmo essere sorelle di sangue.” Nella sua mano comparve uno stiletto.
Noriko sbatté gli occhi stupita perchè non aveva visto da dove era uscito. Guardò Sumomo pungersi il dito e tenderle il coltello. Eseguì a sua volta senza esitare e poi appoggiò il polpastrello a quello di Sumomo.
Le due donne si inchinarono con gravità. “Sono onorata. Grazie, Sumomo-san.” Sorridendo la mama-san restituì il coltello.
“Adesso anch'io sono un pochino samurai, vero?”
Il coltello scomparve nella manica.
“Quando l'imperatore ritornerà al potere sarà Lui a nominare samurai quelli che l'avranno meritato. Noi faremo una petizione per te, Hiraga-san, Ori e io.” Noriko si inchinò ringraziandola ancora una volta; trovava quell'idea piacevole anche se irreale e riteneva che non sarebbe mai vissuta abbastanza a lungo per vedere l'impensabile accadere: il giorno della fine dello shògunato Toranaga. “A nome di tutta la mia stirpe, grazie. Adesso sakè!”
“No grazie, spiacente, il sensei Katsumata ha fatto giurare alle donne della sua classe di rinunciare al sakè perchè ottunde i sensi e distoglie dall'obiettivo. Dove si trova Hiraga-san, prego?” Noriko la guardò nascondendo un sorriso. “Katsumata il grande sensei? Hai studiato con lui?
Shorin ci ha raccontato che sai usare la spada, il coltello e lo shuriken. E' vero?” Con stupefacente velocità la mano di Sumomo si infilò nell'obi e ne uscì scagliando l'arma nella stanza. Il piccolo cerchio d'acciaio a cinque lame, affilate come un rasoio, andò a infilarsi con violenza nel centro esatto di una colonna.
Sumomo non sembrava essersi neppure mossa.
“Per favore, dov'è Hiraga-san?” ripeté con gentilezza.
Capitolo 17
†
Edo
Quella notte Hiraga guidò il silenzioso attacco al palazzo del daimyo oltre la palizzata, nel secondo anello esterno alle mura del castello.
Correvano attraverso i giardini verso l'ingresso posteriore, nella notte illuminata da una luna incerta.
I suoi uomini, sei in tutto, indossavano un corto kimono nero da combattimento notturno, senza armatura per essere più rapidi e silenziosi. Erano tutti armati di spade, coltelli e lacci per strangolare. Erano ronin choshu convocati con grande urgenza da Kanagawa per quell'incursione.
Intorno al palazzo sorgevano le baracche dei soldati, le scuderie e i quartieri della servitù.
In condizioni normali ospitavano cinquecento guerrieri, oltre alla famiglia e ai domestici del daimyo, ma quella notte erano sinistramente deserti. C'erano soltanto due assonnate sentinelle a guardia della porta posteriore che videro gli incursori troppo tardi per dare l'allarme, e morirono.
Akimoto indossò l'uniforme di una delle due sentinelle e poi, nascosti i corpi dietro un cespuglio, raggiunse gli altri sulla veranda.
Aspettarono immobili, l'orecchio teso ad ascoltare. Se fosse giunto un grido d'avvertimento avrebbero rinunciato alla missione all'istante.
“Se ci sarà pericolo ci ritireremo” aveva detto Hiraga al crepuscolo, quando i suoi uomini erano arrivati a Edo.
“Ci basterà essere penetrati nel castello. Il nostro obiettivo di questa notte è il terrore, uccidere un uomo e spargere il terrore, far capire a quella gente che non c'è uomo o luogo al mondo che non possa essere raggiunto dalle nostre spie. Diffondere il terrore, entrare e uscire velocemente, effetto sorpresa e nessuna perdita. L'opportunità di questa notte è unica.” Sorrise. “Quando Anjo e gli Anziani hanno cancellato il sankin-kotai hanno scavato la fossa allo shògunato.”
“Incendiamo il palazzo, cugino?” chiese Akimoto in tono allegro.
“Dopo l'esecuzione.”
“E lui chi è?”
“E' vecchio, con i capelli grigi, un ometto basso e magro, si chiama Utani, è un Anziano del Roju.” Erano rimasti tutti di stucco. “Il daimyo di Watasa?”
“Sì. Ma sfortunatamente non l'ho mai incontrato. Qualcuno di voi lo conosce?”
“Penso di poterlo riconoscere” rispose un giovane di diciotto anni con una brutta cicatrice che gli deturpava il volto. “E' scheletrico come un pollo malato. L'ho visto un giorno a Kyòto. Allora stanotte mettiamo un Anziano a dormire eh, un daimyo? Bene!”
Sorrise e si grattò la cicatrice, ricordo del fallito tentativo choshu di impossessarsi delle Porte del palazzo a Kyòto, in primavera.
“Utani non andrà più da nessuna da parte dopo questa notte. E un pazzo a dormire fuori dalle mura e farlo sapere in giro!
E senza guardie poi! Stupido!” Joun, un ragazzo di diciassette anni, il più prudente del gruppo, si intromise: “Scusami, Hiraga-san, ma sei certo che non si tratti di una falsa informazione per farci cadere in trappola? Yoshi viene detto la Volpe e Anjo è persino più scaltro di lui. Sulle nostre teste ci sono grosse taglie, non è vero? Sono d'accordo con mio fratello, perchè Utani dovrebbe comportarsi in modo così stupido?”.
“Perchè ha un incontro segreto. E un pederasta.” Gli uomini fissarono Hiraga senza capire. “E perchè dovrebbe tenerlo segreto?”
“Perché il ragazzo è un intimo di Anjo.”
“So ku!” Gli occhi di Joun scintillarono. “In questo caso credo che lo terrei segreto anch'io. Ma perchè un bel ragazzino con un protettore potente dovrebbe concedersi a un uomo come Utani?”
Hiraga si strinse nelle spalle. “Per soldi, per quale altro motivo? Nori è avaro, Utani prodigo... i suoi contadini non sono forse i più tassati di tutto il Giappone? I suoi debiti non arrivano forse alle stelle? Non si dice forse che consumi oban d'oro come se fossero chicchi di grano? In un modo o nell'altro Anjo presto lascerà questa terra.
Forse il bel ragazzino pensa che Utani gli sopravviverà e che quindi valga la pena di correre il rischio. Utani poi ha influenza a corte, giusto? Koku! Perché no?
Probabilmente la sua famiglia destituita sta annegando nei debiti. Tutti i samurai di grado inferiore a quello di hirazamurai non vivono forse nell'indigenza?”
“E vero” risposero gli altri in coro.
“Ed è così fin dal quarto shògun” aggiunse con amarezza il diciottenne, “da quasi duecento anni. I daimyo si prendono le tasse, vendono il rango di samurai ai dannati mercanti e decurtano le nostre paghe. I daimyo ci hanno traditi, hanno tradito i loro fedeli sudditi!”
“Hai ragione” ribatté Akimoto furente. “Mio padre deve vendersi come bracciante per sfamare i miei fratelli...”
“A nostro padre non sono rimaste che le spade, niente casa, soltanto una capanna” disse Joun. “Siamo indebitati così fin dall'epoca del bisnonno, non riusciremo mai a restituire i prestiti.”
“Io saprei come fare per sistemare quei luridi adoratori del Dio denaro: cancellerei i debiti oppure li ucciderei” disse un altro.
“Se i daimyo a volte si sdebitano così, perchè non dovremmo farlo anche noi?”
“Ottima idea” esclamò Akimoto, “ma ti costerebbe la testa. Il principe Ogama farebbe di te un esempio per tutti nel caso i suoi usurai smettessero di anticipargli denaro su... a che punto siamo adesso?... sulle tasse dei prossimi quattro anni.”
Un altro disse: “Lo stipendio della mia famiglia non è cambiato dall'epoca di Sekigahara, e da allora il costo del riso è centuplicato. Dovremo diventare anche noi mercanti o fabbricanti di sakè. Due zii e un fratello maggiore hanno rinunciato alle loro spade per darsi al commercio.
“E' terribile, si, ma ci ho pensato anch'io.”
“I daimyo ci hanno traditi.”
“Quasi tutti i daimyo” precisò Hiraga. “Non tutti.”
“E' vero” rispose Akimoto. “Non importa, sceglieremo il nostro daimyo quando avremo scacciato i barbari e messo fine allo shògunato Toranaga. Il nuovo shògun ci darà cibo a sufficienza per sfamare le nostre famiglie, armi migliori e magari persino qualche fucile dei gai-jin.
“Lo shògun si terrà i fucili per i suoi uomini.”
“Perché dovrebbe, Hiraga? Ci saranno armi per tutti. Non è forse vero che i Toranaga si accaparrano una cifra che va da cinque a dieci milioni di koku all'anno? E' più che sufficiente per armare tutti i samurai del paese in modo adeguato. Ascolta, se ci dobbiamo dividere, dove ci ritroviamo?”
“Nella Casa dei Salici Verdi, a sud del quarto ponte, non qui. Se non vi sarà possibile nascondetevi da qualche parte e trovate il modo di tornare a Kanagawa...” In piedi sulla veranda, l'orecchio teso a cogliere qualsiasi segnale di pericolo, Hiraga sorrise godendo di quella sensazione, con il cuore in gola, sentendo la gioia di vivere e il rischio di morire ogni giorno più vicino.
Tra pochi istanti ci muoveremo, in azione finalmente...
Per giorni era stato in attesa nel tempio accanto alla Legazione britannica, aspettando un'occasione per appiccarle fuoco. Ma c'erano sempre troppe truppe nemiche, stranieri e samurai. Aveva vissuto alla Legazione come giardiniere spiando, ascoltando, studiando piani, sarebbe stato così facile uccidere il barbaro spilungone che era sfuggito all'attacco sulla Tokaidò. Era incredibile che su tre uomini e una donna, Shorin e Ori fossero riusciti a fare soltanto una vittima.
Ah, Tokaidò! Tokaidò vuol dire Ori, Ori vuol dire Shorin che vuol dire Sumomo che compirà diciassette anni il mese prossimo. Ignorerò la lettera di mio padre, la ignorerò! Non accetterò il perdono di Ogama se per ottenerlo devo rinnegare sonno-joi. Seguirò la scia di sonno-joi, a qualsiasi morte mi condurrà.