Gai-Jin (92 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Anjo li guardò allontanarsi furente. Se non fosse stato per quei fucili l'avrei fatto arrestare secondo il piano.

Con quale imputazione? Tradimento, congiura contro lo shògun! Ma Yoshi non sarebbe mai giunto in tribunale, oh no, molto spiacente, qualche sconsiderato lo avrebbe ammazzato mentre cercava di sfuggire alla giustizia.

Un'improvvisa fitta all'intestino lo costrinse a cercare un posto per sedersi. Medici baka! Dev'esserci una cura, si disse, imprecando contro Yoshi e i suoi uomini che si dileguavano sotto il passaggio.

Yoshi ora respirava meglio e aveva smesso di sudare freddo. Si inoltrò al trotto nelle fortificazioni, lungo gallerie scarsamente illuminate, superò altre scuderie e giunse al muro esterno, rivestito di legno. Gli uomini smontarono da cavallo e accesero le torce.

Poi Yoshi indicò con il frustino un pomello in un angolo. Il suo attendente balzò a terra e lo tirò con forza.

Una grande porzione del muro si aprì verso l'esterno dando accesso a un tunnel largo abbastanza da consentire il passaggio di due cavalieri affiancati. Yoshi spronò il cavallo. Quando i palanchini e l'ultimo degli uomini furono passati e la porta fu richiusa, tirò un sospiro di sollievo. Solo allora ripose il fucile nel fodero.

Non fosse stato per te, Fucile-san, sarei un uomo morto, o quanto meno prigioniero. Capisco che a volte un fucile è meglio di una spada.

Meriti un nome, pensò con tenerezza. Era un'antica usanza shintoista quella di dare un nome alle spade e alle armi predilette, e persino alle rocce e agli alberi.

Ti chiamerò “Nori” che significa “alga”, oltre a essere il nome di Nori Anjo. Così ricorderò che mi hai salvato da lui e che uno dei tuoi proiettili gli appartiene e prima o poi lo colpirà al cuore o alla testa.

“Eeeh, signore” disse il suo capitano affiancandoglisi. “E' stato magnifico vedere come sparavate.”

“Grazie, ma avevo ordinato a te e a tutti gli uomini della scorta di stare in silenzio finché non ti avessi dato il permesso di parlare. Sei degradato. Portati in coda.” Mortificato, l'uomo si allontanò subito.

“Tu” disse Yoshi alla guardia che gli faceva da secondo, “ora sei capitano.” Si raddrizzò sulla sella e riprese a guidare il drappello.

Nel tunnel l'aria era stantia. Stavano procedendo in uno dei molti passaggi segreti che si intrecciavano sotto il forte. La costruzione del castello con i suoi tre fossati e l'altissimo torrione era durata solo quattro anni perchè, dietro richiesta dello shògun Toranaga e senza nessun costo per lui, vi avevano lavorato giorno e notte cinquecentomila uomini.

Il pavimento della galleria, in progressiva pendenza, serpeggiava a destra e a sinistra. Le pareti a tratti erano scolpite nella roccia, altrove rozzamente rivestite di mattoni, e il soffitto, sebbene puntellato qui e là, era in buone condizioni.

Continuarono a scendere, al sicuro. Dalle pareti che sgocciolavano e dall'aria più fresca, Yoshi capì che stavano passando sotto al fossato e si strinse nel mantello.

Odiava quel tunnel e soffriva di claustrofobia. Un'eredità del periodo, non così lontano, in cui lui, la moglie e il figlio erano stati rinchiusi dal tairò per sei mesi in stanze che sembravano celle sotterranee. Non mi farò imprigionare mai più, aveva giurato a se stesso, mai più.

Il pavimento cominciò a risalire e giunsero alla fine del tunnel, sbucando direttamente in una casa.

L'abitazione apparteneva a un vassallo fedele al clan Toranaga. L'uomo, preavvisato, salutò Yoshi che, sollevato all'idea di non dover affrontare altri problemi, fece segno all'avanguardia di procedere.

La notte era piacevole e il gruppo di cavalieri si avviò al trotto per stradine poco conosciute fino ai confini estremi della città e alla prima barriera della Tokaidò.

Riconosciuto lo stendardo dei Toranaga, le guardie aprirono subito la barriera, si inchinarono ubbidienti e la richiusero, guardandosi bene dal fare domande inopportune.

Non lontano dalla barriera la strada si biforcava. Percorrendo la via laterale, che zigzagava all'interno verso nord e verso le montagne, sarebbero giunti dopo tre o quattro giorni di viaggio al castello di Yoshi, il Dente del Drago. Gli uomini dell'avanguardia la imboccarono senza indugio, felici quanto lui di tornare a casa dalle mogli, dalle fidanzate e dagli amici dopo una separazione durata quasi un anno.

Dopo aver cavalcato per mezza lega, all'entrata di un villaggio, dove avrebbero trovato un grande abbeveratoio e una sorgente di acqua calda, Yoshi gridò: “Guardie!” Il nuovo capitano della scorta lo raggiunse e mentre stava per dire, Signore?, ricordò l'ordine e riuscì a trattenersi. Attese.

Yoshi indicò una locanda.

“Ci fermiamo qui” disse come se si trattasse di una decisione improvvisa. La locanda si chiamava Sette Stagioni di Felicità.

“Adesso potete rompere il silenzio.”

Nel cortile lindo e ben ordinato, il proprietario, le cameriere e i domestici accorsero con le lanterne e si inchinarono desiderosi di piacere e onorati dall'importanza dell'ospite. Le cameriere circondarono il palanchino per prendersi cura di Raiko mentre il proprietario, un vecchio magro e calvo, condusse zoppicando Yoshi nella casetta più confortevole e isolata.

Era un samurai in pensione di nome Inejin che aveva deciso di tagliarsi il codino e diventare un oste. Segretamente continuava a essere un hatamoto, un samurai privilegiato, ed era una delle numerose spie di Yoshi sparse nei dintorni di Edo e lungo le vie d'accesso al Dente del Drago.

Il nuovo capitano, consapevole della propria responsabilità, scortò Yoshi con quattro samurai, poi Misamoto con le sue due guardie.

Dopo che il capitano ebbe controllato velocemente che la casa fosse sicura, Yoshi si sistemò nella veranda su un cuscino rivolto verso i gradini e fece inginocchiare i samurai di guardia alle sue spalle. Notò che la cameriera che gli serviva il tè era fresca e ben scelta e il tè per questo gli sembrò migliore.

Quando si sentì pronto congedò cameriere e inservienti.

“Per favore, Inejin, fateli entrare” ordinò.

Inejin tornò quasi subito con i due prospettori gai-jin. Uno era alto e l'altro tarchiato, ma entrambi sembravano molto magri, portavano lunghe barbe e avevano un aspetto truce. Indossavano abiti rozzi e sudici e berretti malandati. Yoshi lì studiò con curiosità e disprezzo, come se fossero più animali che uomini.

A disagio, immobili sotto i gradini, i due uomini lo fissavano con sguardo ebete.

“Inchinatevi!” ordinò subito il capitano. Vedendo che non si muovevano e lo fissavano impalati senza capire, disse ringhiando a due samurai: “Insegnategli l'educazione!”.

Un attimo dopo erano entrambi inginocchiati con la faccia nella polvere, a maledire la loro stupidità per aver accettato un lavoro così pericoloso: “Che cazzo, Charlie” aveva esclamato poche settimane prima quello tozzo, un minatore della Cornovaglia, dopo il loro incontro alla Città Ubriaca con Norbert Greyforth, “cos'abbiamo da perdere? Niente!

Facciamo la fame, non abbiamo un soldo, non abbiamo un lavoro, non possiamo avere più niente a credito, neanche dal mio amico Bonzer, per Dio, non c'è un fottuto bar in tutto Yokopoko che ci dà una birra, un letto o un tozzo di pane, tanto meno una passera.

Non c'è nessuna nave che ci imbarca. Siamo incastrati qui, e fra un pò arrivano gli sbirri australiani, o i tuoi da San Francisco, e ci mettono i ferri, a me mi impiccano perchè ho assalito qualche schifoso sfruttatore di minatori e a te perchè hai derubato e sparato a qualche dannato banchiere.”

“E ti fidi di quel bastardo di Greyforth?”

“Dov'è il tuo onore, vecchio mio! Gli abbiamo messo la crocetta, giusto? Ha fatto come ha detto, è un vero signore, giusto? Ci dà ventidue testoni per pagare quello che dobbiamo pagare per tenerci fuori dalla galera, altri venti in banca per quando torniamo, le pale, la polvere da sparo e tutto quello che ci serve e un contratto giurato davanti al prete che ci teniamo due parti su cinque di ogni carico che spediamo a Yoko, giusto? Tutto come ha promesso, giusto? E' un signore, ma tutti i signori sono viscidi.” I due uomini si erano sbellicati dal ridere e l'altro aveva detto: “Hai ragione, porcavacca!”.

“Adesso siamo i prospettori, giusto? E siamo noi a trovare la roba, giusto? Siamo i soli in tutto il Giappone, giusto? Ne intaschiamo un po'... eh... e la spediamo fuori, giusto? Mangiamo, ci sbronziamo e scopiamo per un anno, un fottuto Yoshiwara tutto per noi senza pagare un centesimo, e siamo i primi a saltare sull'oro dei giapponesi? Io ci vado, anche se tu non vieni...”

“Rimettili a sedere, e non fargli del male. Misamoto!” Misamoto gli fu subito accanto in ginocchio.

Vedendolo, i due uomini si tranquillizzarono un pò.

“Sono questi gli uomini che hai incontrato ieri al porto?”

“Sì, signore.”

“E ti conoscono come Watanabe?”

“Sì, signore.”

“Bene. Sanno qualcosa del tuo passato?”

“No, signore, ho eseguito i vostri ordini, e...”

“Hai detto di aver imparato l'inglese dai marinai di Nagasaki?”

“Sì, signore.”

“Bene. Ora, digli che verranno trattati bene e che non devono avere paura. Come si chiamano?”

“Eh, voi due, questo è il capo, il principe Ota.” A Misamoto era stato detto di chiamare Yoshi con quel nome. La sua pesante parlata americana a loro era facilmente comprensibile. “Vi avevo detto, bastardi, di inchinarvi e strisciare, prima che ve lo facciano fare a calci! Dice che vi tratteranno bene e vuole sapere i vostri nomi.”

“Io sono Johnny Cornishman e lui è Charlie Yank e ancora non abbiamo messo niente sotto i denti, per Dio!” Misamoto tradusse i loro nomi meglio che poté.

“Non dirai loro niente di me né di quello che hai fatto da quando ti ho tirato fuori di prigione, due mesi fa.

Bada che ho orecchie ovunque e lo verrei a sapere.”

“Non mancherò, signore.” Misamoto, nascondendo il suo odio, fece un profondo inchino sforzandosi di essere compiacente, terrorizzato da quello che l'aspettava.

“Sì.” Yoshi lo osservò per un attimo. Nei due mesi circa in cui era stato al suo servizio, Misamoto era molto cambiato, esteriormente. Ora era ben sbarbato, si rasava anche la fronte e portava i capelli raccolti alla maniera dei samurai. La pulizia forzata aveva migliorato di molto il suo aspetto e anche se gli era concesso di indossare solo abiti da samurai del rango più basso, sembrava pur sempre un samurai e portava le spade come se gli appartenessero. Le spade, peraltro, erano ancora finte, solo else senza lame nei foderi.

Fino a quel momento Yoshi poteva dirsi soddisfatto del suo comportamento e quando lo aveva visto vestito da Anziano, con il cappello, era rimasto stupito e quasi non lo aveva riconosciuto. E' una lezione da tenere a mente, si era detto: com'è facile apparire ciò che non si è!

“Farai bene a non sbagliare” disse poi volgendo l'attenzione alle due guardie di Misamoto. “Siete responsabili dell'incolumità di questi due uomini. La signora Hosaki vi fornirà altre guardie e le guide, ma siete voi i responsabili del successo di questa impresa.”

“Sì, signore.”

“Non vi deluderò, signore” mormorò Misamoto grigio in volto, contagiando con la propria paura i due minatori.

“Di' a questi uomini che sono al sicuro. E aggiungi che li guiderai e gli farai da insegnante, e se ubbidite tutti non c'è ragione di temere alcunché. Di' loro che spero in un rapido successo della ricerca.”

“Il capo dice che non c'è bisogno di aver paura.”

“Allora tu perchè ti stai pisciando addosso?”

“Sarai tu a pisciarti addosso... Io... qui comando io, bada a come parli.”

“Sta' attento tu o quando siamo soli ti spacchiamo i coglioni. Dove sono il fottuto mangiare, la birra e le donne che ci avete promesso?”

“Lì avrete presto, e vi consiglio di comportarvi bene con questi... tipi intorno” disse cauto Misamoto. “Sono come gatti con un'ape nel culo. Il capo dice anche che fate meglio a sbrigarvi a trovare quell'oro.”

“Se l'oro c'è lo troviamo di sicuro, Wotinabey, vecchio mio. Se non c'è non c'è, giusto Charlie?”

“Scusate, signore, vi ringraziano per la vostra generosità” concluse Misamoto rincuorandosi, perchè si era improvvisamente reso conto che accompagnandoli sarebbe stato il primo a venire a conoscenza di un giacimento. “Promettono di fare il possibile per trovare il tesoro. Chiedono rispettosamente un pò di cibo e da bere, e quando possono cominciare.”

“Fa' loro capire bene l'importanza della pazienza, dell'educazione e della diligenza. Insegna loro le buone maniere, come ci si inchina e così via. Fa parte dei tuoi compiti.” Misamoto obbedì e Yoshi fece segno all'inserviente di tirar fuori le due mantelline che Hosaki aveva fatto confezionare per l'occorrenza, due corpetti con i lacci. I caratteri scritti con l'inchiostro sul davanti e sul dietro, su due riquadri di seta chiara, dicevano: Questo gai-jin è un prospettore alle mie dipendenze.

A condizione che sia accompagnato dalle sue guide ufficiali con le certificazioni originali, gli è concesso di fare ricerche minerarie ovunque nel mio regno.

Tutti sono tenuti a cooperare con questa missione. Ogni riquadro portava il suo sigillo. “Dite loro di portarli sempre perchè gli serviranno da lasciapassare, e spiegate cosa dice la scritta.”

Di nuovo Misamoto obbedì senza indugio e mostrò ai due uomini come si indossavano i corpetti.

Finalmente prudenti, i minatori simularono una pazienza e un'umiltà aliene alla loro indole e alle loro abitudini.

“Charlie...” L'oriundo della Cornovaglia bisbigliò allacciandosi al collo le stringhe, senza quasi muovere le labbra. Parlava come un ex-galeotto perchè aveva fatto quattro anni di lavori forzati nell'entroterra australiano per usurpazione di una concessione mineraria. “Io dico, se hai puntato un centesimo, tanto vale arrivare a una fottuta sterlina.” L'americano, più a suo agio, sorrise.

“Spero che sarà più di una sterlina, amico...” Yoshi li osservava. Poi, soddisfatto, fece un cenno a Misamoto.

“Portali con te in cortile e aspetta.” Dopo che se ne furono andati, questa volta inchinandosi correttamente, Yoshi ordinò che tutti i presenti tranne Inejin si allontanassero per non sentire la conversazione. “Sedetevi, vecchio amico.” Invitò l'anziano, che si era rotto un'anca cadendo da cavallo e non poteva stare inginocchio, a sedersi sui gradini. “Bene. Dunque, cosa c'è di nuovo?”

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