Paradiso (57 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Se tal fu l’una rota de la biga   

               
in che la Santa Chiesa si difese

108
         
e vinse in campo la sua civil briga,

               
ben ti dovrebbe assai esser palese

               
l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma

111
         
dinanzi al mio venir fu sì cortese.

               
Ma l’orbita che fé la parte somma   

               
di sua circunferenza, è derelitta,

114
         
sì ch’è la muffa dov’ era la gromma.   

               
La sua famiglia, che si mosse dritta   

               
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,

117
         
che quel dinanzi a quel di retro gitta;   

               
e tosto si vedrà de la ricolta   

               
de la mala coltura, quando il loglio

120
         
si lagnerà che l’arca li sia tolta.

               
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

               
nostro volume, ancor troveria carta   

123
         
u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’;

               
ma non fia da Casal né d’Acquasparta,   

               
là onde vegnon tali a la scrittura,   

126
         
ch’uno la fugge e altro la coarta.

               
Io son la vita di Bonaventura   

   

               
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici

129
         
sempre pospuosi la sinistra cura.   

               
Illuminato e Augustin son quici,   

               
che fuor de’ primi scalzi poverelli

132
         
che nel capestro a Dio si fero amici.   

               
Ugo da San Vittore è qui con elli,   

               
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,   

   

135
         
lo qual giù luce in dodici libelli;

               
Natàn profeta e ’l metropolitano   

   

               
Crisostomo e Anselmo e quel Donato   

   

138
         
ch’a la prim’ arte degnò porre mano.

               
Rabano è qui, e lucemi dallato   

               
il calavrese abate Giovacchino   

141
         
di spirito profetico dotato.

               
Ad inveggiar cotanto paladino   

               
mi mosse l’infiammata cortesia   

   

               
di fra Tommaso e ’l discreto latino;   

145
         
e mosse meco questa compagnia.”

PARADISO XIII

               
Imagini, chi bene intender cupe   

   

               
quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,   

3
             
mentre ch’io dico, come ferma rupe—,

               
quindici stelle che ’n diverse plage

               
lo cielo avvivan di tanto sereno

6
             
che soperchia de l’aere ogne compage;

               
imagini quel carro a cu’ il seno   

               
basta del nostro cielo e notte e giorno,

9
             
si ch’al volger del temo non vien meno;

               
imagini la bocca di quel corno   

               
che si comincia in punta de lo stelo

12
           
a cui la prima rota va dintorno,

               
aver fatto di sé due segni in cielo,   

               
qual fece la figliuola di Minoi

15
           
allora che sentì di morte il gelo;

               
e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,   

               
e amendue girarsi per maniera

18
           
che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;

               
e avrà quasi l’ombra de la vera   

               
costellazione e de la doppia danza

21
           
che circulava il punto dov’ io era:

               
poi ch’è tanto di là da nostra usanza,   

               
quanto di là dal mover de la Chiana

24
           
si move il ciel che tutti li altri avanza.

               
Lì si cantò non Bacco, non Peana,   

               
ma tre persone in divina natura,

27
           
e in una persona essa e l’umana.

               
Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;   

               
e attesersi a noi quei santi lumi,

30
           
felicitando sé di cura in cura.

               
Ruppe il silenzio ne’ concordi numi   

   

               
poscia la luce in che mirabil vita

33
           
del poverel di Dio narrata fumi,

               
e disse: “Quando l’una paglia è trita,   

               
quando la sua semenza è già riposta,

36
           
a batter l’altra dolce amor m’invita.

               
Tu credi che nel petto onde la costa   

   

               
si trasse per formar la bella guancia

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il cui palato a tutto ’l mondo costa,

               
e in quel che, forato da la lancia,   

               
e prima e poscia tanto sodisfece,

42
           
che d’ogne colpa vince la bilancia,

               
quantunque a la natura umana lece   

               
aver di lume, tutto fosse infuso

45
           
da quel valor che l’uno e l’altro fece;

               
e però miri a ciò ch’io dissi suso,

               
quando narrai che non ebbe ’l secondo

48
           
lo ben che ne la quinta luce è chiuso.

               
Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,   

               
e vedräi il tuo credere e ’l mio dire   

51
           
nel vero farsi come centro in tondo.

               
Ciò che non more e ciò che può morire   

   

               
non è se non splendor di quella idea   

54
           
che partorisce, amando, il nostro Sire;

               
ché quella viva luce che sì mea   

               
dal suo lucente, che non si disuna

57
           
da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,   

               
per sua bontate il suo raggiare aduna,

               
quasi specchiato, in nove sussistenze,   

60
           
etternalmente rimanendosi una.   

               
Quindi discende a l’ultime potenze   

               
giù d’atto in atto, tanto divenendo,

63
           
che più non fa che brevi contingenze;

               
e queste contingenze essere intendo

               
le cose generate, che produce

66
           
con seme e sanza seme il ciel movendo.

               
La cera di costoro e chi la duce   

               
non sta d’un modo; e però sotto ’l segno

69
           
idëale poi più e men traluce.

               
Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,

               
secondo specie, meglio e peggio frutta;

72
           
e voi nascete con diverso ingegno.

               
Se fosse a punto la cera dedutta

               
e fosse il cielo in sua virtù supprema,

75
           
la luce del suggel parrebbe tutta;

               
ma la natura la dà sempre scema,

               
similemente operando a l’artista   

78
           
ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.

               
Però se ’l caldo amor la chiara vista   

               
de la prima virtù dispone e segna,

81
           
tutta la perfezion quivi s’acquista.

               
Così fu fatta già la terra degna

               
di tutta l’animal perfezïone;

84
           
così fu fatta la Vergine pregna;

               
sì ch’io commendo tua oppinïone,

               
che l’umana natura mai non fue

87
           
né fia qual fu in quelle due persone.

               
Or s’i’ non procedesse avanti piùe,   

               
‘Dunque, come costui fu sanza pare?’

90
           
comincerebber le parole tue.

               
Ma perché paia ben ciò che non pare,

               
pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,

93
           
quando fu detto ‘Chiedi,’ a dimandare.

               
Non ho parlato sì, che tu non posse

               
ben veder ch’el fu re, che chiese senno

96
           
acciò che re sufficïente fosse;

               
non per sapere il numero in che enno   

   

               
li motor di qua sù, o se
necesse
   

99
           
con contingente mai
necesse
fenno;

               
non
si est dare primum motum esse,
   

               
o se del mezzo cerchio far si puote   

102
         
trïangol sì ch’un retto non avesse.

               
Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,   

               
regal prudenza è quel vedere impari

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in che lo stral di mia intenzion percuote;

               
e se al ‘surse’ drizzi li occhi chiari,   

               
vedrai aver solamente respetto

108
         
ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.

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